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parere

Avvocato. Sussistenza o meno dell’efficacia del patto di quota lite una volta che il cliente recede dal mandato.

E’ stato chiesto se un avvocato riceve un mandato per assistere una persona danneggiata in una controversia risarcitoria (nel caso specifico, sembra che si sia trattato di una difesa di interessi civili in sede penale), stipulando un contratto di quota lite e cioè ottenendo l’impegno da parte del cliente, a definizione della controversia, di corresponsione di una percentuale dell’importo risarcitorio ricevuto; l’avvocato svolge la sua attività professionale ed ottiene una offerta da parte della compagnia assicuratrice del responsabile che egli ritiene del tutto congrua, ma a questo punto il cliente recede dal mandato, pretendendo di pagare le competenze dell’avvocato secondo la tariffa professionale, non rispettando così il patto di quota lite.
Il Consiglio dell’Ordine, ha precisato che fino al decreto legislativo n. 223/2006, vigeva il principio generale di cui all’articolo 2233 n. 3 del divieto di pattuizione relativo ai beni che formano oggetto della controversia, oltre al divieto espresso di cui all’articolo 45 del codice deontologico (anche se ora il canone I° apre alla possibilità di accordi legati al risultato).
Nondimeno, il problema sollevato esiste, ben essendo possibile immaginare comportamenti scorretti da parte dei clienti che, raggiunto un determinato risultato nell’ambito di un rapporto professionale di quota lite in forza del quale, magari, l’avvocato abbia sostenuto anche spese onerose, decidono di revocare il mandato, oltretutto, potendo creare difficoltà all’avvocato sul recupero delle sue competenze nel caso di scarsa solvibilità dell’ex cliente
Sul patto di quota lite, il cui divieto è cessato nel 2006, non vi sono particolari elaborazioni da parte di dottrina e di giurisprudenza. Con riferimento alla professione dell’avvocato, si può dire che si tratta di criterio per la determinazione del corrispettivo, condizionato nell’an e nel quantum al risultato positivo della lite consistente nell’acquisto da parte del cliente di un determinato bene della vita (denaro o altro; ma si potrebbe anche ipotizzare un patto di quota lite nel quale il corrispettivo sia legato al risultato del risparmio per effetto dell’opera dell’avvocato, di determinati oneri o debiti, altrimenti a carico del cliente, ed anche in eccedenza rispetto ai massimi fissati dalla tariffa.
Dunque il primo problema concerne la rinunciabilità o meno del diritto di recesso di cui all’articolo 2237 c.c. e quindi l’inderogabilità di tale norma, e se la stipulazione di un patto di quota lite, considerato l’interesse dell’avvocato al mantenimento del rapporto professionale, possa valere come rinuncia preventiva al recesso, ovvero sia strutturalmente incompatibili con il recesso del cliente.
In proposito si osserva che la giurisprudenza ammette la legittimità della rinuncia al diritto di recesso del cliente nei confronti del professionista, che tuttavia deve essere espressa ed inequivoca (Cassazione,sentenza 26 giugno 1992 n. 7753; sent. 7 dicembre 1977 n. 5391; sez. II, 25 marzo 1998, n. 3145).
Ne consegue che il patto di quota lite di per sé non può valere come rinuncia al recesso, in quanto le esigenze al cui soddisfacimento è preordinato l’articolo.2237 c.c., e cioè la necessità che in un rapporto contrattuale di mezzi e non di risultato, quale è quello professionale e nel quale è assai difficile verificare il corretto adempimento da parte del professionista (anche avvocato), la fiducia permanga per tutta la sua durata, prevalgono sulla esigenza di tutela del diritto del professionista al corrispettivo per l’attività svolta.
Dunque, nel caso di patto di quota lite da pattuirsi per iscritto, è consigliabile e nell’interesse dell’avvocato,la espressa pattuizione della rinuncia al recesso da parte del cliente, fatti salvi i principi in tema di risoluzione del contratto per inadempimento del professionista. Che accade quando le parti niente abbiano pattuito in ordine al recesso? Il recesso sarà efficace o no e con quali conseguenze?
I principi in ordine alla finalità dell’art. 2237 fanno propendere per l’efficacia, in ogni caso, del recesso quando questo non sia stato espressamente escluso, e quindi per la risoluzione del rapporto d’opera professionale e conseguente estinzione del mandato alle liti (se si tratta di incarico di difesa giudiziale).
Quanto agli onorari e per venire al quesito occorre a mio parere distinguere: se il risultato previsto dal contratto era stato raggiunto al momento del recesso, nel senso che il cliente aveva ricevuto una offerta seria che, avuto riguardo alle circostanze della controversia ed al suo esito virtuale, avrebbe potuto essere definita congrua, in tal caso il recesso o revoca da parte del cliente, non può privare l’avvocato del diritto al compenso come pattuito in quanto è il cliente stesso ad impedire il raggiungimento del risultato, in contrasto con la causa stessa di questo tipo di contratto d’opera professionale.
Diversamente, se il risultato non fosse stato raggiunto, allora bisogna pensare che nella naturale aleatorietà di questo tipo di rapporto che l’avvocato deve accettare, sia compresa anche la possibilità della sua cessazione per iniziativa insindacabile del cliente.
Ne consegue la determinazione degli onorari secondo la tariffa oltre al rimborso delle spese anticipate.
In tal caso non c’è spazio per ulteriori corrispettivi, salvo, forse, che l’avvocato fornisca la prova di comportamento del cliente di inadempimento al contratto d’opera professionale (ad esempio,nel caso in cui fossero previsti particolari obblighi a carico del cliente, ovviamente non di pagamento di competenze, ma per esempio, di anticipazione di spese, di reperimento di documenti e simili), ovvero di comportamento scorretto e contrario ai principi di buona fede di cui all’art. 1375 c.c.
In tal caso, il patto di quota lite come diritto dell’avvocato alla percentuale pattuita dell’importo virtuale che il cliente avrebbe percepito, non può avere alcuna efficacia, ma resta egualmente il diritto dell’avvocato alla risoluzione del contratto per colpa del cliente, con diritto al risarcimento del danno da commisurarsi alla perdita della percentuale pattuita con il patto di quota lite.