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parere

Avvocato. Testimonianza e segreto professionale

Il Consiglio dell’Ordine ha già avuto modo di precisare che l’articolo l’art. 58 del Codice Deontologico Forense impone, per quanto possibile, all’avvocato di astenersi dal deporre come testimone su circostanze apprese nell’esercizio delle proprie attività professionali e inerenti al mandato ricevuto, precisando altresì che l’avvocato non deve mai impegnare di fronte al Giudice la propria parola sulla verità dei fatti esposti in giudizio e, qualora intenda presentarsi come testimone, deve rinunciare al mandato e non può riassumerlo.
Tenuto conto della particolare funzione dell’avvocato nonché del fatto che le circostanze su cui sarebbe chiamato a deporre sarebbero state da lui apprese nell’ambito di detta sua funzione, si tratta di una disposizione molto opportuna e condivisibile, la cui ratio è, evidentemente, quella di evitare anche una sovrapposizione e/o una commistione di ruoli nel medesimo giudizio, in considerazione pure del fatto che l’avvocato, pur dovendo osservare il dovere di lealtà e di correttezza, ha, comunque, il compito di tutelare gli interessi di una parte e non può, quindi, essere imparziale, mentre un testimone ha l’obbligo di riferire i fatti con verità, obiettività e imparzialità, il che potrebbe anche collidere con gli interessi della parte assistita dall’avvocato. 
Per tali motivi si ritiene preferibile che l’avvocato non deponga come testimone nel processo in cui presti la propria assistenza professionale e, se non può fare a meno di deporre, gli si impone di rinunciare al mandato e di non riassumerlo. 
Dal contenuto letterale della disposizione in questione nonché dalla sua ratio sopra illustrata si evince, peraltro, che la disposizione stessa si riferisce all’eventuale deposizione testimoniale resa dall’avvocato nell’ambito di un giudizio nel quale egli espleti la sua funzione di difensore di una delle parti e su circostanze che egli abbia appreso in conseguenza del mandato ricevuto. 
Il segreto professionale riferito ai rapporti di clientela intrattenuti nell’ambito di associazioni professionali non risulta essere espressamente disciplinato dalla nuova disciplina sull’ordinamento professionale forense, di cui alla legge n. 247/2012. In particolare, all’art. 4, in materia di associazioni professionali, si riafferma il principio secondo cui l’incarico professionale è sempre conferito all’avvocato in via personale. Tuttavia, ai fini dell’applicazione della disciplina sul segreto professionale, qualora la questione sia cogestita da due associati, pur stato conferito mandato difensivo soltanto ad uno di essi, si ritiene che possa trovare applicazione l’art.6 comma 3, della disciplina in esame che estende anche ai collaboratori dell’avvocato l’obbligo del segreto professionale, potendo qualificarsi l’attività del socio non mandatario, alla stregua di un collaboratore dell’avvocato investito della funzione difensiva.
Deve ritenersi, altresì, che non può essere imposto all’avvocato di rinunciare al mandato in un distinto giudizio civile che verte su un oggetto diverso.
In ogni caso è ovvio che l’avvocato dovrà agire con lealtà e correttezza, nonché senza violare la dignità e il decoro della professione.