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parere

Avvocato: viola il disposto dell’art. 48 c.d.f. l’avvocato che produca in giudizio un documento contenente una proposta transattiva proveniente dall’ufficio legale interno di un ente pubblico

  1. Quesito. Un avvocato ha richiesto a questo Consiglio un parere sulla rilevanza deontologica della produzione in giudizio di uno scambio di corrispondenza intercorso tra il legale che assiste un privato cittadino e l’ufficio legale di un ente pubblico. Oggetto della corrispondenza è un’offerta di risarcimento a titolo transattivo inoltrata via PEC dall’ufficio legale dell’ente all’avvocato del cliente privato. Essendo stata introdotta una causa nei confronti dell’ente pubblico, in mancanza di accordo, l’avvocato chiede se la suddetta corrispondenza sia producibile, anche in riferimento ad un precedente parere del Consiglio dell’Ordine pubblicato su Il Foglio del Consiglio del 29.06.2021. [1]

2. Risposta al quesito

1. Il canone deontologico che viene in considerazione nel caso di specie è l’art. 48 del Codice deontologico forense (“c.d.f.”), rubricato “Divieto di produrre la corrispondenza scambiata con il collega”.

L’articolo in commento, al primo comma, prevede che l’avvocato non possa produrre in giudizio la corrispondenza intercorsa esclusivamente tra colleghi qualora sia qualificata come riservata, nonché quella contenente proposte transattive e le relative risposte.

Il secondo comma dell’art 48 prevede due deroghe al divieto contenuto nel primo comma. L’avvocato può infatti produrre la corrispondenza intercorsa con i colleghi qualora la stessa

a)          costituisca perfezionamento e prova di un accordo

b)          assicuri l’adempimento delle prestazioni richieste.

La violazione del divieto di produzione disciplinato dall’art. 48 c.d.f. comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della censura.

2. La norma deontologica è dettata a salvaguardia del corretto svolgimento dell’attività professionale e, salve le eccezioni previste espressamente, prevale persino sul dovere di difesa [ 2 ].

Secondo il Consiglio Nazionale Forense, “La norma deontologica di cui all’art. 48 cdf (già art. 28 codice previgente) è stata dettata a salvaguardia del corretto svolgimento dell’attività professionale, con il fine di non consentire che leali rapporti tra colleghi potessero dar luogo a conseguenze negative nello svolgimento della funzione defensionale, specie allorché le comunicazioni ovvero le missive contengano ammissioni o consapevolezze di torti ovvero proposte transattive. Ciò al fine di evitare la mortificazione dei principi di collaborazione che per contro sono alla base dell’attività legale. Di tal chè il divieto di produrre in giudizio la corrispondenza tra i professionisti contenente proposte transattive assume la valenza di un principio invalicabile di affidabilità e lealtà nei rapporti interprofessionali, quali che siano gli effetti processuali della produzione vietata, in quanto la norma mira a tutelare la riservatezza del mittente e la credibilità del destinatario, nel senso che il primo, quando scrive ad un collega di un proposito transattivo, non deve essere condizionato dal timore che il contenuto del documento possa essere valutato in giudizio contro le ragioni del suo cliente; mentre, il secondo, deve essere portatore di un indispensabile bagaglio di credibilità e lealtà che rappresenta la base del patrimonio di ogni avvocato. La norma, peraltro, non è posta ad esclusiva tutela del legale emittente, ma anche all’attuazione della sostanziale difesa dei clienti che, attraverso la leale coltivazione di ipotesi transattive, possono realizzare una rapida e serena composizione della controversia. (CNF, sent. n.181 del 19 dicembre 2019).

Dall’esposizione della fattispecie contenuta nel quesito appare che il contenuto della corrispondenza la cui produzione è stata richiesta non integri le fattispecie di cui al comma 2, lett. a) e b), dell’art. 48 e rientri pienamente nell’ambito del divieto sancito dalla norma, in quanto trasmesso proprio dall’ufficio legale dell’ente.

Con riferimento al contenuto del precedente parere di questo consiglio citato dal richiedente, si osserva che esso non è applicabile alla fattispecie in esame. Sussiste infatti una fondamentale differenza fra gli avvocati dell’ufficio legale interno di una società, che non possono essere iscritti all’albo, e gli avvocati che fanno parte dell’ufficio legale di un ente pubblico, che sono iscritti in una speciale sezione dell’albo degli avvocati e sono sottoposti alla potestà disciplinare dell’ordine di appartenenza qualora l’ufficio legale cui afferiscono goda dei requisiti previsti dall’art. 23 della l. 247/2012 (cfr. il combinato disposto degli artt. 18, 19 e 23 l. 247/2012).

Si deve ritenere inoltre che, qualora la sottoscrizione dell’atto non sia specifica, ma sia chiaramente identificabile l’ufficio legale di provenienza dell’ente pubblico, essa sia riferibile, come suggerisce lo stesso art. 23, comma II, l. 247/2012, al responsabile dell’ufficio legale dell’ente. La ratio della norma citata è stata infatti sempre interpretata dalla giurisprudenza del CNF come riferibile a qualunque tipo di comunicazione fra legali, anche non sottoscritte, e quindi a ogni comunicazione proveniente da un avvocato iscritto all’albo, comprese e-mail, messaggi sms, comunicazioni telefoniche, il cui contenuto non può in alcun modo essere trasferito in un atto giudiziario (“ Pone in essere un comportamento lesivo del dovere di probità e colleganza l’avvocato che produca ed utilizzi in giudizio documenti e scritti a lui inviati in forma riservata, e per altri fini, da un suo collega. (Nella specie il professionista, dopo aver richiesto ad un collega la bozza di un contratto di compravendita da quest’ultimo preparato, utilizzava detta copia allegandola ad un ricorso per sequestro conservativo diretto ed ottenuto proprio contro la parte assistita dal collega). (Nella specie è stata confermata la sanzione dell’avvertimento –  CNF sentenza n. 84 del 24 maggio1996)”.

3. Conclusioni.

Viola il disposto dell’art. 48 c.d.f. l’avvocato che produca in giudizio un documento contente una proposta transattiva proveniente dall’ufficio legale interno di un ente pubblico.

Ci corre infine l’obbligo di precisare che:

– con la nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense “il potere disciplinare appartiene ai consigli distrettuali di disciplina forense” e dunque non rientra più tra i compiti e le prerogative del Consiglio dell’Ordine;

– ne consegue che i pareri in materia deontologica che gli iscritti richiedono al Consiglio dell’Ordine vengono da questo rilasciati in termini generali e non assumono né possono assumere, in eventuali procedimenti disciplinari, alcuna funzione orientativa né tantomeno vincolante del giudizio del Consiglio Distrettuale di Disciplina né rilevare quali esimente dell’iscritto sotto il profilo soggettivo;

– pertanto, è possibile che il Consiglio Distrettuale di Disciplina, nella sua autonoma valutazione di comportamenti concretamente tenuti, possa pervenire a conclusioni diverse da quelle fatte proprie dal Consiglio.

NOTE

[1] parere pubblicato il 29.06.2021 con il titolo <<Avvocato: può essere depositata in giudizio la corrispondenza contenente una proposta transattiva proveniente direttamente da un “ufficio legale” interno di una società privata, non qualificata come riservata né sottoscritta da un avvocato iscritto a un Albo>>

[2]  «La riservatezza della corrispondenza tra Colleghi, che tutela in definitiva la libertà del Difensore nella conduzione della lite, costituisce un canone essenziale che prevale, peraltro, salve le eccezioni previste espressamente, persino sul dovere di difesa» (cfr., per tutti, C.N.F., sent. 110/2018; 99/2018; 194/2017).