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giurisprudenza

Il termine prescrizionale quinquennale dell’azione disciplinare decorre, nel caso di condotta protratta, dalla data di cessazione dell’illecito (Cass., Sez. Un., 30 giugno 2016, n. 13379)

La Corte di Cassazione, con la sentenza in epigrafe, ha rigettato il ricorso proposto contro la decisione del C.N.F. che aveva ritenuto responsabile il ricorrente dell’indebita ritenzione di somme riscosse per conto del cliente, irrogando la sanzione della sospensione dall’esercizio della professione per undici mesi.

Il C.N.F. aveva ritenuto infondata l’eccezione di prescrizione sollevata dal ricorrente, sul rilievo che la violazione deontologica degli art. 7 comma 1 (dovere di fedeltà), art. 8 (dovere di diligenza), art. 38 comma 1 (inadempimento al mandato), art. 41 comma 1,2,3 (gestione del denaro altrui), risultava integrata da una condotta protrattasi nel tempo.

Difatti, l’azione disciplinare nei confronti dell’avvocato si prescrive nel termine di cinque anni, che decorrono dal giorno di realizzazione dell’illecito, ossia, se questo consiste in una condotta protratta, dalla data di cessazione della condotta medesima.

Ebbene, il comportamento del professionista, nel caso in esame, presenta i connotati tipici della continuità della violazione deontologica, posto che l’avvocato avrebbe ripetutamente promesso la restituzione delle somme – senza a ciò provvedere –  sino all’inizio del procedimento disciplinare.

Ne consegue che il protrarsi di tale condotta fino alla decisione del C.O.A. è ostativa del decorso del termine prescrizionale, come correttamente ritenuto dalla sentenza impugnata.

A cura di Guendalina Guttadauro