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giurisprudenza

La narrazione dei fatti di causa si può desumere dal contesto dell’atto senza che questo comporti l’inammissibilità del ricorso per Cassazione ex art. 366 c.p.c. (Cass., Sez. III, 28 giugno 2018, n. 17036)

Con la sentenza in evidenza, la Suprema Corte affronta la problematica dell’ammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c. di un ricorso redatto con una tecnica che, omettendo l’illustrazione dei fatti di giudizio in una parte del ricorso dedicata, li inserisca in parte motiva, costringendo la Corte a ricostruire i fatti dalle argomentazioni dedotte. Sino a recenti pronunce, infatti, era jus receptum la massima secondo cui per soddisfare il requisito dell’esposizione sommaria dei fatti e delle vicende processuali “non occorre un’apposita premessa a sè stante, essendo sufficiente che dall’illustrazione dei motivi del ricorso sia desumibile il quadro delle circostanze di fatto da cui trae origine la controversia”. Tale orientamento era, altresì, pacificamente condiviso dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione. Una recente giurisprudenza, tuttavia, aveva affermato che, allorché l’esposizione sommaria dei fatti di causa manchi, o sia carente, il ricorso debba essere dichiarato inammissibile. La sentenza n. 17036 del 28 giugno 2018 prende posizione netta contro questa interpretazione restrittiva, motivando il proprio orientamento su una base articolata di motivi intepretativo- sistematici. Motivo dell’interpretazione letterale: l’art. 366 c.p.c. indica quali debbano essere i contenuti del ricorso, ma non prescrive alcuna sanzione di inammissibilità quanto all’ordine con cui i contenuti del ricorso debbano essere esposti. Motivo dell’interpretazione sistematica: per il principio di globalità o circolarità dell’interpretazione gli atti devono essere apprezzati complessivamente. Motivo della logica formale: se l’esposizione dei fatti della causa manchi totalmente, secondo la giurisprudenza della Corte più rigorosa, ben si potrebbe ricavarla dai motivi; ma se esista e sia incompleta o sovrabbondante, tale integrazione non potrebbe compiersi. Una simile lettura dell’art. 366 c.p.c. condurrebbe al paradosso di riservare un trattamento meno rigoroso al ricorrente che trascuri completamente di assolvere l’onere di esposizione dei fatti. Motivo dell’”interpretazione armoniosa” con la CEDU: La CEDU ha, infatti, stabilito che le sentenze le quali dichiarino inammissibile una impugnazione per ragioni formali possano dirsi coerenti con l’art. 6, p. 1, solo quando la causa di inammissibilità sia prevista dalla legge, possa essere prevista ex ante, e non sia di derivazione giurisprudenziale ovvero, se lo sia, non sia frutto di una interpretazione “troppo formalistica” e risulti comunque da un orientamento consolidato. Per tali motivi la Corte ribadisce il principio secondo cui: “per soddisfare il requisito dell’esposizione sommaria dei fatti di causa prescritto, a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione, dall’art. 366 cod. proc. civ., n. 3 non è necessario che tale esposizione costituisca parte a sè stante del ricorso, ma è sufficiente che essa risulti in maniera chiara dal contesto dell’atto, anche se contenuta nella illustrazione dei motivi”.

A cura di Raffaella Bianconi