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giurisprudenza

La violazione di norme di diritto può concernere anche disposizioni emanate dopo la pubblicazione della sentenza impugnata se ed in quanto dotate di efficacia retroattiva (Cass., Sez. Un., 27 ottobre 2016, n. 21691)

Con la sentenza in commento la Corte di cassazione a sezioni unite fissa importanti principi in punto di norme sopravvenute dotate di efficacia retroattiva e del loro rapporto con la formazione del c.d. giudicato interno, risolvendo sul punto due contrasti giurisprudenziali interni alla stessa Corte.

Anzitutto le sezioni unite della Corte di cassazione affermano che la violazione di norme di diritto possa riguardare anche norme emanante in seguito all’impugnata sentenza se ed in quanto dotate di efficacia retroattiva e ciò in quanto la violazione di legge non richiede necessariamente un errore imputabile al giudice di merito, ma consiste in un dato oggettivo che sussiste ogni qual volta vi sia contrasto tra il provvedimento impugnato e una norma di diritto applicabile ratione temporis al rapporto dedotto in giudizio. Aggiunge peraltro che legge dotata di efficacia retroattiva debba essere applicata dalla Corte nei processi in corso anche qualora sia intervenuta dopo la notifica del ricorso per cassazione e dunque senza che il ricorrente abbia formulato uno specifico motivo di ricorso, in applicazione del principio iura novit curia.

Risolvendo poi altro contrasto interno, la Corte di Cassazione afferma che il ricorso per violazione di legge sopravvenuta incontra sì il limite del giudicato, ma che se la sentenza si compone di più parti connesse tra loro in un rapporto per il quale l’accoglimento dell’impugnazione nei confronti della parte principale determinerebbe necessariamente anche la caducazione della parte dipendente, la proposizione dell’impugnazione nei confronti della parte principale impedisce il passaggio in giudicato nei confronti della parte dipendente anche in assenza di impugnazione specifica di quest’ultima.

Nel caso di specie un lavoratore agiva in giudizio chiedendo che, previa dichiarazione di nullità dei termini apposti ai contratti di lavoro, questi venissero trasformati in un contratto di lavoro a tempo indeterminato con conseguente diritto alla corresponsione di tutte le retribuzioni maturate dalla notifica del ricorso alla effettiva reintegrazione come previsto dalle norme all’epoca vigenti in materia. La sentenza veniva impugnata innanzi alla Corte di Appello dalla società convenuta ed all’esito del giudizio il giudice di secondo grado confermava la statuizione emessa dal giudice di prime cure. La società proponeva dunque ricorso per cassazione e, tra le altre cose, chiedeva che qualora venisse confermata la nullità dei termini apposti ai contratti di lavoro, in applicazione dell’art. 32 della L. n. 183/2010 entrato in vigore dopo il deposito della sentenza di appello, venisse ridotta la misura del risarcimento del danno.Sulla base dei suddetti principi la Corte di cassazione accoglieva tale motivo di ricorso e rinviava al giudice di merito per la rideterminazione del risarcimento del danno patito dal lavoratore in conseguenza della dichiarata nullità del termine apposto ai contratti di lavoro ex art. 32 L. n. 183/2010.

A cura di Silvia Ventura