Direttore Responsabile:

Susanna Della Felice

Coordinatore di Redazione:

Lapo Mariani

parere

Avvocato: la fase di mediazione, se obbligatoria, secondo la giurisprudenza del Tribunale di Firenze, pur in assenza di una specifica disposizione nel D.P.R. n. 115/02, è coperta dal beneficio del patrocinio a spese dello Stato ed il compenso sarà liquidato, se sarà raggiunta una conciliazione, presentando ricorso al Presidente del Tribunale. L’avvocato ha il dovere deontologico del segreto professionale e non è tenuto a fornire a terzi informazioni relative a procedimenti penali pendenti, in difetto potrebbe vedersi contestato il reato di patrocinio infedele ex art. 380 c.p..

È stato richiesto parere riguardo all’estensione del beneficio del patrocinio a spese dello Stato nella fase di mediazione ed in caso di risposta affermativa a chi si debba rivolgere la relativa istanza di liquidazione del compenso.

Premettiamo che ad oggi il DPR n. 115 del 2002 nulla prevede sul beneficio suddetto per la mediazione; esiste giurisprudenza di questo Tribunale con la quale si ritiene che comunque, anche questa fase, qualora la mediazione sia obbligatoria, sia coperta dal patrocinio a spese dello Stato nel senso che le competenze relative verranno liquidate al termine del giudizio.

Qualora però si raggiunga una conciliazione sembra che il beneficio non sia previsto, anche se, in questo caso, si potrebbe ipotizzare un ricorso al Presidente del Tribunale per la liquidazione stessa. Si fa presente che è in corso di approvazione una modifica legislativa nel senso sopra indicato.

È stato richiesto anche altro parere riguardo al dovere deontologico dell’avvocato difensore di persona a carico della quale, non è dato sapere in che fase, pendono più procedimenti penali, ancora una volta non è dato sapere per quali ipotesi di reato, nei confronti di un curatore fallimentare che richiede aggiornamenti rispetto ai procedimenti penali suddetti dovendone riferire nelle relazioni periodiche al giudice delegato.

Deve innanzitutto osservarsi che se le ipotesi di reato a carico fossero estranee ad ipotesi di reati concorsuali, non sarebbe innanzitutto agevole individuare un interesse qualificato del curatore ad occuparsi di dette vicende penali.

Se viceversa le ipotesi di reato fossero relative a reati concorsuali, è noto che a mente dell’art. 240 della legge fallimentare è da attribuirsi al curatore la qualità di persona offesa (e di danneggiato) dal reato.

Con riferimento a quest’ultima ipotesi, pertanto, il curatore potrà esercitare i diritti e le facoltà della persona offesa, per come previsti e richiamati dall’art. 90 c.p.p..

In ogni caso, sulla premessa che l’interlocutore naturale della persona offesa, ed in ispecie di una persona offesa per così dire ‘istituzionale’ è il pubblico ministero e non sono l’imputato ed il suo difensore,  l’avvocato, con particolare riguardo allo stato del procedimento ed alla visione di atti e documenti acquisiti al fascicolo del pubblico ministero ovvero al fascicolo per il dibattimento, potrà prudentemente valutare caso per caso se, con riguardo alla richiesta eventualmente rivolta, vi possa o meno essere un pregiudizio, anche minimo, alla difesa del proprio assistito.

Aldilà della violazione dell’art. 13 del Codice Deontologico (…l’avvocato è tenuto, nell’interesse del cliente e della parte assistita, alla rigorosa osservanza del segreto professionale e al massimo riserbo su fatti e circostanze in qualsiasi modo apprese nell’attività di rappresentanza e assistenza in giudizio, nonché nello svolgimento dell’attività di consulenza legale e di assistenza stragiudiziale e comunque per ragioni professionali) in cui per il caso contrario si incorrerebbe, resta infatti da tenere ben presente che ogni nocumento agli interessi della parte assistita che potesse dirsi connesso alla violazione consapevole dei doveri di segretezza e riservatezza, sarebbe suscettibile di configurare il reato di patrocinio infedele previsto dall’art. 380 c.p.

Giova conclusivamente rammentare che la legge processuale si guarda bene dal porre a carico del difensore dell’imputato un qualche obbligo generale di informativa nei confronti di chicchessia, sia egli o meno persona offesa dal reato, che viceversa può senz’altro ritenersi confinato nell’ipotesi di cui all’art. 299 comma 3 c.p.p., unica in cui detto obbligo (o forse sarebbe meglio definirlo onere) sussiste.

Ne discende, ovviamente, che nessun principio generale del processo, ed in ispecie del processo penale, potrebbe essere utilmente invocato al riguardo.

Corre peraltro l’obbligo a questo COA di ricordare che i pareri e le opinioni qui espresse in nessuno modo possono condizionare od orientare le valutazioni che la Legge Professionale riserva in via esclusiva al Consiglio Distrettuale di Disciplina di cui agli artt. 50 e segg.