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giurisprudenza

Sull’ incompatibilità tra l’esercizio della professione di avvocato e l’impiego pubblico part- time (Cass., Sez. Un., 16 maggio 2013, n. 11833)

La Corte di Cassazione – con la sentenza in epigrafe – ha ritenuto di dovere escludere l' abrogazione tacita delle disposizioni, di cui alla legge n. 339 del 2003 – per quanto riguarda l'incompatibilità ivi sancita tra l'esercizio della professione di avvocato e l'impiego part- time – per effetto della normativa costituente “Ius superveniens”, che introduce i principi ispiratori delle attività economiche private ( D.l. 13 Agosto 2011 n. 148, convertito in l. n. 148 del 14.09.2011) e delle attività professionali regolamentate, il cui esercizio è consentito solo a seguito di iscrizioni in ordini e collegi subordinatamente al possesso di qualifiche professionali o all'accertamento delle specifiche professionalità (D.P.R. 7 agosto 2012 n. 137). Inoltre, la successiva legge n. 247 del 31.12.2012 – che contiene la nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense – conferma l'operatività delle disposizioni che sanciscono l'incompatibilità suddetta. Il Collegio, inoltre, ha richiamato quanto stabilito dalla Corte Costituzionale che dapprima – con sentenza del 21.11.2006 n. 390 – ha ritenuto che la normativa nazionale di recepimento della direttiva comunitaria 98/5/CE – intesa ad agevolare l'esercizio permanente della professione di avvocato in uno stato membro diverso da quello di acquisizione della qualifica professionale – prevede espressamente che le norme sull'incompatibilità si applicano anche all'avvocato” stabilito” o “integrato”, ivi comprese con riguardo ai contratti di lavoro con enti corrispondenti allo Stato di origine; e, successivamente, ha chiarito – con sentenza del 27.6.2012 n. 166 – che il dato normativo prescrive la facoltà di un'opzione tra l'esercizio esclusivo della professione forense e la prestazione di lavoro pubblico a tempo pieno a tutti coloro i quali avessero ottenuto, nella posizione di dipendenti pubblici part – time, l'iscrizione all'albo degli avvocati, con il beneficio di una fase di transizione per una migliore ponderazione della scelta definitiva. In particolare, la disciplina in esame, avendo concesso ai dipendenti pubblici part – time già iscritti all'albo degli avvocati un primo periodo triennale, onde esercitare l'opzione per l'uno o l'altro percorso professionale e, poi, ancora un altro di durata quinquennale – in caso di espressa scelta in prima battuta della professione forense – ai fini dell'eventuale richiesta di rientro in servizio, soddisfa pienamente i requisiti richiesti dal principio di ragionevolezza, di cui all'art. 3, comma 2 Cost., poiché contempera la doverosa applicazione del divieto generalizzato reintrodotto dal legislatore per l'avvenire (con effetto sui rapporti di durata in corso), con le esigenze organizzative di lavoro e di vita dei dipendenti pubblici a tempo parziale, già ammessi dalla legge all'epoca dell' esercizio della professione legale. La normativa nazionale che neghi ai dipendenti pubblici, impiegati in una relazione di lavoro a tempo parziale, l'esercizio della professione – anche qualora siano in possesso dell'apposita abilitazione – disponendo la loro cancellazione dall'albo degli avvocati in assenza di un'opzione valida nei termini di legge – è, dunque, legittima.

a cura di Guendalina Guttadauro