Con la sentenza in commento la Suprema Corte ha ribadito che l’art. 51 del Codice Deontologico Forense, che fa divieto all’avvocato di utilizzare notizie acquisite in ragione del rapporto professionale già esaurito con l’ex-cliente, tutela un bene giuridico ulteriore rispetto alla mera esigenza di non far conoscere all’esterno fatti personali, che l’avvocato apprenda per ragioni legate all’esercizio della professione. Il citato articolo si pone infatti a presidio del rapporto che intercorre tra avvocato e assistito, tale da impedire al professionista di diffondere o adoperare in maniera scorretta informazioni che, a prescindere dal fatto che siano o meno ancora sconosciute all’opinione pubblica, non possono essere rivelate da chi, per doveri inerenti alla propria professione, non può comunque divulgarle. E così la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un avvocato – cui il C.O.A. di appartenenza aveva irrogato la sanzione della censura, in seguito sostituita dal C.N.F. con quella meno grave dell’avvertimento – che assunta la difesa di un soggetto contro un ex-cliente, assistito anni prima in una causa di lavoro per licenziamento, aveva rivolto all’ex-cliente medesimo, imputato nel procedimento penale, una domanda sui fatti relativi alla precedente causa in cui lo aveva patrocinato. La circostanza che i fatti di causa fossero già stati oggetto di diffusione a mezzo stampa ha semplicemente comportato un’attenuazione della sanzione da parte del C.N.F.
a cura di Guendalina Carloni