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giurisprudenza

I criteri di determinazione della responsabilità professionale (Cass., Sez. III, 5 febbraio 2013, n. 2638)

La Corte di Cassazione – con la sentenza in epigrafe – ha messo in evidenza i requisiti fondamentali della responsabilità professionale del legale, ribadendo che non è legata al semplice inadempimento dell'attività professionale, ma richiede anche la verifica della riconducibilità del pregiudizio lamentato dal cliente alla condotta dell'avvocato, nonchè della sussistenza del danno effettivamente subito, ma sopratutto necessita la prova del necessario nesso eziologico tra il comportamento – omissivo o commissivo – tenuto dal professionista ed il risultato che ne è derivato. La Corte, in particolare, ha affermato che la valutazione delle risultanze probatorie richiede un apprezzamento di fatto riservato in via esclusiva al giudice di merito, che nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, incontra un solo limite, cioè deve indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva. Nel caso di specie, la ratio decidendi si fondava sul rilievo che la mancata tempestiva proposizione dell'impugnazione da parte del legale era stata casualmente legata all'incuria della stessa società, cui aveva restituito i documenti – a seguito della revoca del mandato – dieci giorni prima della scadenza del termine per la proposizione dell'appello. Ciò nonostante la società era rimasta inerme, omettendo di consegnare la documentazione al nuovo difensore per la preparazione dell'atto di gravame. La Corte di Cassazione – non essendo stata fornita la prova che la negligenza del professionista legale abbia effettivamente causato il danno lamentato – ha rigettato il ricorso.
 

a cura di Guendalina Guttadauro