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giurisprudenza

Nessuna scriminante per il cliente che accusa i propri legali di essersi accordati con la controparte ai suoi danni (Cass., Sez. VI Pen., 23 maggio 2013, n. 27909)

Con la sentenza in commento la Suprema Corte di Cassazione ha rilevato che non è applicabile la scriminante di cui all’art. 599, comma 2, c.p. al caso di colui che accusa i propri avvocati di essersi accordati con la controparte ai suoi danni. Più precisamente il cliente, parte in un procedimento civile che lo aveva visto soccombente, aveva inviato una lettera al giudice istruttore nonché a tutti gli avvocati delle parti in causa, affermando l’esistenza di collusioni tra i suoi legali e la controparte.
La Corte di Cassazione, ribaltando la posizione dei giudici di merito che lo avevano assolto sin dal primo grado di giudizio, ha evidenziato che il cliente non può addurre a propria difesa che le erronee scelte processuali dei legali costituiscano un fatto ingiusto altrui tale da giustificare il reato di diffamazione; infatti, ha precisato la Corte, l’insuccesso in una causa civile non può essere ritenuto un fatto ingiusto in sé di cui sia automaticamente responsabile l’avvocato della parte perdente; ha osservato altresì che il requisito dell’immediatezza della reazione, per quanto considerato nella più ampia accezione, nel provvedimento impugnato non era adeguatamente motivato a fronte della palese distanza temporale tra presunto fatto ingiusto e presunta reazione.
La Corte ha pertanto annullato la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio agli effetti civili innanzi alla Corte d’appello.
 
a cura di Guendalina Carloni