Con questa decisione la Seconda Sezione della Corte di Cassazione ha avuto la possibilità di confermare un principio ormai granitico in giurisprudenza (cfr. Cass. Pen., Sez. II, n. 46256/2013, in Il Foglio del Consiglio del 07/01/2014), secondo il quale l'esercente della professione forense, che trattenga per sé delle somme ricevute dal cliente per svolgere attività legali, è responsabile del delitto di appropriazione indebita, punito e previsto dall'art. 646 c.p. .
Per vero, il reato in esame risulta consumato anche qualora il professionista sia creditore verso il cliente per altri incarichi professionali espletati; le uniche esimenti che può addurre il difensore legale sono la dimostrazione dell'esistenza del credito, unitamente alla sua esigibilità ed il suo preciso ammontare.
a cura di Devis Baldi