Direttore Responsabile:

Susanna Della Felice

Coordinatore di Redazione:

Lapo Mariani

giurisprudenza

Vietata l’intermediazione finanziaria da parte dell’avvocato compiacente e interessato (C.N.F., 27 maggio 2013, n. 82)

Il caso affrontato nella sentenza in commento è quello di un avvocato al quale il Consiglio dell’Ordine di appartenenza aveva irrogato la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale per due mesi
1) per aver ingiustificatamente omesso, pur essendogli stato richiesto con varie lettere raccomandate a/r, di restituire ai propri assistiti la documentazione dagli stessi affidatagli per lo svolgimento degli incarichi professionali;
2) per aver indotto i propri assistiti – con la falsa promessa di lucrosi investimenti – a partecipare ad un affare immobiliare inesistente per il quale gli stessi gli avevano consegnato due assegni ed avevano dallo stesso ricevuto in cambio, a garanzia del buon esito dell’operazione, un assegno personale di pari importo che, all’incasso, una volta accertata l’impossibilità di concludere la trattativa, veniva protestato per mancanza di fondi.
Il legale impugnava la decisione del Consiglio dell’Ordine svolgendo,
– nei confronti di entrambi i capi di incolpazione, la medesima censura di nullità in rito per la mancata correlazione delle incolpazioni alle norme precettive del Codice Deontologico Forense da ritenersi violate, cosicché sarebbe stato leso il suo diritto di difesa;
– nei confronti del primo capo di incolpazione, la censura di carente e contraddittorio impianto probatorio a sostegno della motivazione della decisione del Consiglio;
– nei confronti del secondo capo di incolpazione, la censura di erronea valutazione e travisamento dei fatti da parte del Collegio giudicante.
Si pronunciava il CNF il quale,
– quanto alla censura di nullità in rito, affermava la infondatezza del gravame sulla base del principio, sancito ripetutamente ed in maniera uniforme dalla giurisprudenza dello stesso CNF e dalle SS.UU., della chiarezza della contestazione e della specifica menzione dei fatti addebitati all’incolpato.
In altri termini è sufficiente, al fine di garantire all’incolpato un’adeguata difesa, una chiara e specifica contestazione degli addebiti, non assumendo rilievo alcuno la mancata indicazione delle norme violate. E, nel caso di specie, i capi di incolpazione indicavano con chiarezza e sufficiente specificità i fatti contestati;
– quanto alla censura di carente e contraddittorio impianto probatorio a sostegno della motivazione della decisione del Consiglio, affermava la infondatezza del gravame per avere il Collegio tratto conferma dell’addebito non solo dalle dichiarazioni dei testi assunte in sede istruttoria, ma soprattutto dalla produzione in originale dei documenti offerti dallo stesso incolpato nel corso del giudizio. Con ciò integrando la violazione dell’art. 42 C.D.F. che obbliga l’avvocato alla restituzione alla parte assistita, che revochi l’incarico, di tutta la documentazione ricevuta per l’espletamento del mandato;
– quanto alla censura di erronea valutazione e travisamento dei fatti da parte del Collegio giudicante, affermava la infondatezza del gravame per essere stati adeguatamente provati i fatti contestati al legale, fatti aventi particolare gravità dal punto di vista disciplinare. Non è infatti consentito all’avvocato farsi intermediario compiacente e interessato degli investimenti finanziari dei propri assistiti né, ancor di più, farsi garante del buon esito di tali iniziative e, ancor meno, emettere assegni non coperti dalla provvista e lasciati protestare. Tali comportamenti inficiano il rapporto di fiducia sul quale si basa il mandato professionale e minano profondamente i principi di indipendenza, libertà e autonomia cui deve uniformarsi l’operato del legale.
Il CNF confermava pertanto la decisione del Consiglio dell’Ordine di appartenenza del legale, rigettandone il ricorso.
a cura di Silvia Ammannati

Allegato:
82-2013