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giurisprudenza

Le valutazione denigratorie espresse nei confronti di un collega nell’ambito di un procedimento penale costituiscono un illecito disciplinare a norma degli artt. 22 e 29 del Codice Deontologico (Cass., Sez. Un., 18 aprile 2014, n. 9032)

La Corte di Cassazione, con la sentenza in epigrafe, ha rigettato il ricorso proposto dall'avvocato, cui erano state contestate le violazioni degli artt. 22 e 29 del codice deontologico, per avere fatto riferimento in maniera gratuita all’operato del precedente difensore – cui sarebbe succeduto, poiché avrebbe “influenzato” – suo dire – con “pressioni” “sollecitazioni” e “suggestioni “- la parte assistita a confessare reati non commessi.

La Suprema Corte, a tal riguardo, ha ribadito che “in materia di responsabilità disciplinare degli avvocati, le norme del codice disciplinare forense costituiscono fonti normative integrative del precetto legislativo, che attribuisce al Consiglio nazionale forense il potere disciplinare, con funzione di giurisdizione speciale appartenente all’ordinamento generale dello Stato e come tali sono interpretabili direttamente dalla Corte di legittimità.”

Detto ciò, la Corte conferma che la motivazione della decisione del C.N.F. relativa alla violazione dell’art. 29 è chiaramente fondata sul dato normativo degli “apprezzamenti denigratori” e non soltanto “negativi” – come prevedeva la precedente formulazione della norma citata –  dell’avvocato.

Le censure, dunque, mosse dal ricorrente non imputano alla sentenza impugnata alcuna erronea interpretazione di tali norme integrative e, neppure indicano specificatamente quali siano le affermazioni in diritto asseritamente in contrasto con le dette norme.

In tema di procedimento disciplinare a carico degli avvocati, difatti, il potere di applicare la sanzione adeguata alla gravità ed alla natura dell’offesa arrecata al prestigio dell’ordine professionale è riservato agli organi disciplinari, che accertano il fatto ed apprezzano la sua rilevanza rispetto alle imputazioni. Tali valutazioni – prosegue la Corte – non sono censurabili in sede di legittimità. Il ricorso, pertanto, viene respinto.

 

a cura di Guendalina Guttadauro