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giurisprudenza

Competenza per territorio nelle vertenze tra avvocato e cliente: una questione ancora aperta? (Cass., Sez. III, ord., 9 giugno 2011, n. 12685)

La Sezione Terza della Corte affronta la questione della competenza per territorio delle cause tra avvocato e cliente promosse dal primo ai sensi dell’art. 637 comma 3 c.p.c. per il pagamento dei propri onorari rispetto al foro del consumatore di cui all’art. 33 comma 2 lett. u) del D.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, c.d. Codice del Consumo.
L’argomento era stato affrontato in passato da due Corti di merito: il Tribunale di Monza, che aveva optato per l’operatività della norme dell’art. 33 e il Tribunale di Roma, che viceversa aveva escluso l’applicazione della norma (edite su questa rivista nel n. 1/2009).
La vicenda in esame è particolarmente semplice: un avvocato ha ottenuto dal Tribunale di Roma un decreto ingiuntivo nei confronti di un cliente residente in Molise per un giudizio promosso davanti al TAR Molise ed al Consiglio di Stato, relativo all'orario di insegnamento del cliente quale professore di scuola pubblica. Il cliente, proposto opposizione, ha eccepito l'incompetenza territoriale del Tribunale di Roma sulla base dell’art. 33 L. 206/2005 e la Corte ha ritenuto operante il foro del consumatore.
Queste le ragioni di fondo poste a base della motivazione dalla Corte in ordine logico:
a. il rapporto tra foro del consumatore e quello stabilito dall’art. 637 comma 3 c.p.c. è di specialità ma predomina il primo in virtù della sua natura esclusiva rispetto al secondo;
b. l’operatività del foro dell’attore di cui all’art. 637 comma 3 c.p.c. si ravvisa nelle sole ipotesi in cui il cliente non rivesta la qualità di consumatore;
c. il rapporto tra avvocato e cliente deve essere inquadrabile nelle controversie tra professionista e consumatore per cui occorre valutare volta volta se il cliente opera come tale oppure no.
Quanto statuito lascia perplessi.
Da un lato, per il ragionamento compiuto. La Corte, infatti, parte dall’esame delle norme sulla competenza e non dal rapporto giuridico sotteso, contravvenendo alla teoria del petitum sostanziale: in pratica esamina prima la norma sulla competenza anziché la natura del rapporto giuridico, dando per scontato così l’esistenza di un presupposto (la natura del rapporto) prima ancora di averla analizzato.
Dall’altro, per l’esame del rapporto tra avvocato e cliente in cui la Corte – che ritiene inquadrabile tra professionista e consumatore – vi rinviene implicitamente una clausola contrattuale di deroga alla competenza per territorio quando non esiste alcun contratto tra cliente e avvocato che espliciti tale clausola (si legga i punti da 5.1 a 6.2).
Ed infatti, come avevamo già affrontato a suo tempo, ai fini della competenza per territorio non sembra che tali controversie possano essere inquadrate in quelle tra professionista e consumatore dato che gli artt. da 1 a 3 del D.lgs 206/2005 non lasciano spazi per inquadrare il rapporto tra avvocato e cliente in un rapporto di consumo: la definizione di “prodotto”, di cui all’art. 3 lett. e) esclude in modo categorico che il predetto rapporto sia di tale natura poiché circoscrive la prestazione di servizi allo svolgimento di una attività commerciale.
Oltre a ciò non appare poi plausibile che si debba ritenere esistente ed operante, sulla base del solo rapporto di mandato (salvo l’esistenza di un contratto scritto a cui la Corte non risparmia comunque sanzione – si legga il punto 6.5), una clausola derogatoria della competenze laddove non inserita e comunque non sottoscritta se si considera la norma dell’art. 34 comma 3 del Codice del Consumo che stabilisce: “Non sono vessatorie le clausole che riproducono disposizioni di legge…”.
Infine, non appare neanche convincente l’argomento secondo cui occorre valutare volta volta se il cliente agisce come consumatore oppure no considerato che tutti i clienti si recano da un avvocato per la tutela delle proprie situazioni giuridiche personali o professionali che siano.

A cura di Niccolò Andreoni