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giurisprudenza

Contiguità tra studio legale e organismo di mediazione: sospeso l’avvocato-mediatore (Cass., Sez. Un., 29 agosto 2023, n. 25440)

Con la pronuncia in oggetto la Corte di Cassazione affronta il tema della compatibilità tra l’attività di avvocato e la funzione di mediatore quando svolte dal medesimo professionista all’interno di spazi tra loro contigui.

Con nota trasmessa al Consiglio dell’Ordine, un avvocato esponeva di aver avuto notizia dal proprio cliente della convocazione ad un incontro di mediazione obbligatoria presso l’Organismo di mediazione presieduto dall’avvocato di controparte e di aver constatato che lo studio di quest’ultimo si trovava nello stesso stabile e nel medesimo appartamento dell’Organismo.

Il Consiglio di disciplina (CDD) contestava all’avvocato di essersi reso responsabile della violazione dell’art. 55 bis del precedente codice deontologico (art. 62 codice attuale), in particolare della disposizione prevista al IV comma che fa divieto all’avvocato di consentire che l’organismo abbia sede, a qualsiasi titolo, presso il suo studio o che quest’ultimo abbia sede presso l’organismo di mediazione. L’avvocato si difendeva respingendo ogni accusa di violazione di regole deontologiche e precisava di non aver preso parte né di esser stato presente all’incontro fissato per la mediazione. Inoltre, chiariva che la sede dell’Organismo e quella dello studio legale erano sì contigue e si trovavano nel medesimo appartamento ma con ingressi e locali diversi. All’esito dell’istruttoria dibattimentale il CDD riteneva che la separazione degli ambienti all’interno del medesimo appartamento non valesse ad escludere l’integrazione della fattispecie sanzionata dall’art. 55 bis comma IV codice deontologico e dichiarava l’avvocato responsabile dell’illecito irrogando la sanzione della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale per mesi due.

Il Consiglio Nazionale Forense confermava la decisione in sede di impugnazione. L’avvocato soccombente ricorreva quindi in Cassazione per ottenere la riforma della sentenza, formulando ben otto motivi di censura. Particolarmente rilevante risulta il sesto motivo che consente alle Sezioni Unite di pronunciarsi sull’interpretazione dell’art. 62 Codice Deontologico Forense. Il ricorrente infatti ritiene che seguendo l’interpretazione letterale della disposizione non sussisterebbe la violazione deontologica in quanto posta soltanto nel caso di coincidenza tra la sede dell’organismo di mediazione con quella dello studio legale e non già nel caso di mera vicinanza o contiguità degli spazi. L’esegesi non è condivisa dalla Suprema Corte che ritiene come anche la mera contiguità spaziale tra la sede dell’organismo di mediazione e quella dello studio del professionista sia vietata dalla norma, costituendo un fattore sufficiente a far dubitare i terzi dell’imparzialità e dell’indipendenza dell’avvocato-mediatore, nonché a ledere l’immagine della professione e dell’istituto di mediazione. Per tali ragioni la Corte rigetta il ricorso, richiedendo all’avvocato soccombente il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

A cura di Brando Mazzolai