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giurisprudenza

Della condotta dell’avvocato e delle conseguenze sulla reputazione professionale (Cass., Sez. Un., 7 novembre 2011, n. 23020)

La Corte di Cassazione ha ribadito che l'art. 5 del codice deontologico impone all'avvocato di ispirare la propria condotta all'osservanza dei doveri di probità, dignità e decoro e prevede, in particolare, al secondo comma il procedimento disciplinare per fatti anche non riguardanti l'attività forense, quando si riflettano sulla sua reputazione professionale o compromettano l'immagine della classe forense.
La Suprema Corte ha rilevato che l'art. 5, comma II, tipicizza una previsione a forma libera, poiché la violazione non riguarda una condotta ben determinata, ma un evento, la cui configurazione ben può ricollegarsi a concetti diffusi e compresi dalla collettività, come appunto il senso etico della probità e del decoro.
Ne consegue che la condotta dell'avvocato è censurabile disciplinarmente proprio allorchè travalichi l'ambito privato e familiare, tutelato dall'art. 8 C.E.D.U.
Tale norma inibisce, difatti, indebite intrusioni e aggressioni alla sfera privata e familiare delle persone, ma lascia integro il potere – dovere delle autorità competenti di valutare, e, occorrendo, sanzionare comportamenti, che si pongono in contrasto con i rispettivi ordinamenti.

A cura di Guendalina Guttadauro