La Cassazione, nella pronuncia in commento, esclude la possibilità per il difensore di imputato irreperibile di fatto – per il rintraccio del quale il legale si sia adoperato soltanto molti anni dopo il compimento dell’incarico – di vedersi corrispondere i compensi dallo Stato.
Nel caso di specie l’avvocato si era adoperato nella ricerca del cliente soltanto sei anni dopo la conclusione dell’attività in seguito alla approvazione della possibilità di portare in compensazione i crediti professionali maturati nei confronti dello Stato.
La Cassazione, tuttavia, ha ritenuto che l’inerzia nella ricerca dell’assistito costituisse una violazione della regola di diligenza qualificata minima esigibile.
A giudizio della Corte, il rispetto del canone di diligenza avrebbe imposto per “[…] il difensore d’ufficio di persona straniera, senza fissa dimora e connotata da vari alias, di non fare trascorrere un irragionevole lasso di tempo prima di attivarsi con le autorità competenti al fine di tentarne il rintraccio, apparendo del tutto prevedibili le conseguenze di una tale inerzia”.
A cura di Sofia Lelmi