Le Sezioni Uniti della Cassazione tornano ad occuparsi dell’art. 57 della legge professionale, che reca il divieto di cancellazione dall’Albo degli Avvocati in pendenza del giudizio disciplinare, e, rivedendo, almeno parzialmente, il proprio orientamento, rimettono alla Consulta la questione di legittimità costituzionale di tale divieto.
Nel caso di specie un avvocato iscritto all’Ordine degli Avvocati di Lucca, sottoposto a vari procedimenti disciplinari, aveva presentato istanza volontaria di cancellazione dall’Albo in ragione del suo grave stato di salute, che gli impediva lo svolgimento dell’attività professionale.
L’istanza, rigettata dall’Ordine territoriale, è stata accolta dal Consiglio Nazionale Forense, secondo cui il divieto di cancellazione dettato dall’art. 57 L. 247/2012 non avrebbe natura assoluta, ma sarebbe derogabile in situazioni, come quella di specie, nelle quali si renda necessario tutelare il diritto alla salute e il diritto all’assistenza previdenziale dell’avvocato, ossia diritti primari, posti a protezione della dignità della persona.
Impugnata la decisione da parte dell’Ordine degli Avvocati di Lucca, le Sezioni Unite della Cassazione hanno anzitutto evidenziato che l’art. 57 L. 247/2012, stante la sua chiarezza, non può essere oggetto di alcuna interpretazione costituzionalmente orientata che limiti la portata del divieto o consenta di derogarvi, come del resto già precisato dal diritto vivente (non potendosi ritenere per tale l’orientamento espresso dal CNF nelle proprie decisioni, ma solo quello della stessa Cassazione). Dal che deriva la rilevanza della questione di legittimità costituzionale della norma in esame, dato che solo qualora questa fosse dichiarata incostituzionale sarebbe possibile evitare l’applicazione del divieto e consentire la cancellazione dell’avvocato dall’Albo.
Ciò posto, le Sezioni Unite della Cassazione hanno ritenuto che la questione di legittimità costituzionale sia da ritenersi non manifestamente infondata non già con riferimento ai parametri indicati dal Consiglio Nazionale Forense (ossia gli artt. 32 e 38 attinenti al diritto alla salute e al diritto all’assistenza previdenziale), ma con riferimento agli artt. 2, 3, 4, 35 e 41 Cost., che sanciscono il diritto ad autodeterminarsi nell’ambito delle formazioni sociali e il diritto di esercitare liberamente la propria attività lavorativa, professionale e imprenditoriale senza forme di costrizione. Impedire la cancellazione dall’Albo pare rappresentare infatti una coercizione che viola tali libertà fondamentali della persona in ambito professionale e lavorativo.
Né, secondo le Sezioni Unite, il divieto di cancellazione dall’Albo appare trovare giustificazione in ragione delle esigenze finora addotte a tal fine dalla giurisprudenza, cha faceva leva, da un lato, sull’esigenza di evitare forme di autotutela dei Consigli dell’Ordine, che potrebbero essere indotti a cancellare i propri iscritti per il venire meno dei requisiti di onorabilità eludendo così il giudizio disciplinare, nonché, dall’altro lato, sull’esigenza di tutelare la dignità della professione e di evitare comportamenti elusivi e opportunistici degli iscritti volti a chiedere la cancellazione dall’Albo al solo scopo di evitare il procedimento disciplinare. Tali esigenze, infatti, secondo le Sezioni Unite potrebbero essere tutelate mediante altri strumenti (quali la sospensione della prescrizione dell’azione disciplinare a seguito della cancellazione dall’Albo) che non si pongano in contrasto con i suddetti principi di autodeterminazione e libertà dell’avvocato.
Da qui la conclusione secondo cui l’art. 57 L. 247/2012 solleva seri dubbi di costituzionalità nella parte in cui non prevede deroghe al divieto di cancellazione dall’Albo allorquando, in particolare, la perdurante iscrizione comporti la lesione di libertà e diritti fondamentali del professionista, per violazione degli artt. 2, 3, 4, 35, 41 della Costituzione.
A cura di Giovanni Taddei Elmi