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giurisprudenza

Emergenza Covid19, l’esercizio del diritto di difesa non accetta deroghe (Cass., Sez. VI Pen., 1 febbraio 2022, n. 3673)

La Corte di appello confermava la pronuncia di primo grado con la quale il Tribunale aveva condannato l’imputato per i reati di cui all’art. 572 c.p. e art. 61 c.p., n. 11-quinquies (capi a), artt. 582 e 585 c.p. e art. 577 c.p. Avverso tale sentenza veniva presentato ricorso in Cassazione. Il primo dei quattro motivi dedotti in giudizio contestava in particolare la violazione di legge, in relazione agli artt. 178 e 179 c.p.p., per avere la Corte territoriale emesso la sentenza impugnata all’esito di un giudizio svoltosi – ai sensi del D.L. n. 149 del 2020, art. 23, comma 4 – senza che all’imputato o al suo difensore di fiducia fosse stato comunicato che l’udienza si sarebbe tenuta in presenza. In effetti la disciplina emergienziale testé richiamata prevedeva che “fuori dai casi di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, per la decisione sugli appelli proposti contro le sentenze di primo grado la corte di appello procede in camera di consiglio senza l’intervento del pubblico ministero e dei difensori, salvo che una delle parti private o il pubblico ministero faccia richiesta di discussione orale o che l’imputato manifesti la volontà di comparire”. La Corte di Cassazione, nell’accogliere la tesi difensiva, ricorda come tale speciale disciplina presentava una palese lacuna normativa, in quanto non stabiliva alcuna particolare formalità per notiziare le parti di un eventuale mutamento del rito da cartolare a trattazione orale. Inoltre non prevedeva alcuna specifica invalidità nel caso in cui, la richiesta di discussione orale formulata da una delle parti, non fosse stata comunicata alle altre parti in giudizio. Ricordano i giudici come in una siffatta situazione non era ragionevolmente sostenibile che ciascuna parte avesse “un onere di informarsi” dell’avvenuta presentazione di richiesta di discussione orale, “ciò tanto più in un periodo di emergenza sanitaria nel quale erano stati limitati ovvero sconsigliati gli spostamenti fisici”. La Corte aggiunge poi che nessun rilievo poteva rivestire il fatto che nel corso dell’udienza celebrata in presenza il giudice avesse designato un difensore per l’assistenza dell’imputato in sostituzione dell’avvocato di fiducia incolpevolmente assente.  Per tali ragioni conclude la Corte di Cassazione l’omesso avviso al difensore di fiducia comporta una invalidità che non può essere sanata e che determina ai sensi dell’art. 178 c.p.p., comma 1, lett. c), una nullità a regime intermedio degli atti compiuti e della decisione adottata. In conclusione i giudici di legittimità hanno annullato con rinvio la sentenza di secondo grado per un nuovo giudizio di fronte alla Corte di appello.

 

A cura di Brando Mazzolai