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giurisprudenza

I limiti posti dall’art. 56 c.d.f. all’avvocato nell’ascolto del minore non comprimono ma rafforzano il diritto all’autodeterminazione del minore (CNF, Sent., 13 maggio 2019, n. 38)

La vicenda in commento trae origine da un esposto presentato nel 2009 al COA di Venezia dal padre di un minore di 17 anni nei confronti dell’avvocato della moglie (dalla quale era separato), per aver ascoltato senza il suo consenso nel proprio studio il figlio alla presenza della madre, nonostante che nei confronti di questa fosse stato pronunciato provvedimento di decadenza dalla responsabilità genitoriale da parte del Tribunale per i Minorenni di Venezia (confermato in Corte d’Appello), e che il minore fosse affidato al padre e presso di lui collocato.

In particolare, esponeva il padre che l’avvocato, dapprima, aveva raccolto dal figlio la dichiarazione di volersi trasferire dalla madre insieme al fratello e alla sorella (maggiorenni); e poi aveva comunicato per iscritto direttamente a lui padre tale volontà del figlio e di avere ricevuto mandato a presentare ricorso per la modifica dell’affidamento, auspicando l’adesione del padre.

All’esposto, inoltre, veniva allegata anche sentenza del Tribunale penale di Treviso da cui risultava che la madre era stata imputata per il reato di maltrattamenti ai danni dei figli e di calunnia nei confronti del coniuge (fra l’altro per averlo falsamente accusato di violenza sessuale nei confronti dei tre figli), e che era stata riconosciuta non imputabile per vizio totale di mente.

Avviata l’azione disciplinare, l’incolpato si difendeva sostenendo di non essere stato a conoscenza né dell’affidamento del minore al padre né della decadenza dalla responsabilità genitoriale della madre; e che a lui risultava, piuttosto, che tutti e tre i figli erano stati vittime di violenza sessuale da parte del padre.

Esaurita l’attività istruttoria (con l’assunzione della testimonianza di madre e figli), con decisione del 9 giugno 2014 il COA di Venezia ravvisava la violazione da parte dell’avvocato del dovere di lealtà e correttezza di cui all’art. 6 del c.d.f. ante 2014 (allora in vigore), per non aver richiesto il consenso del genitore affidatario prima di avere qualsiasi colloquio con il minore, e irrogava per questo la sanzione della sospensione dall’esercizio della professione per la durata di sei mesi.

Segnatamente, il COA riteneva non verosimile che l’avvocato avesse ignorato la decadenza dalla responsabilità genitoriale della madre, nonché la sua vicenda penale.

Avverso tale decisione l’avvocato presentava ricorso al CNF, sostenendo: (i) che non fosse stata provata la sua conoscenza della suddetta decadenza; (ii) che a dispetto delle sentenze di assoluzione lui sapeva che il padre aveva violentato i figli, il che giustificava la sua scelta di procedere all’ascolto del minore senza interpellarlo; (iii) che la decisione violava il diritto del minore all’ascolto, e quindi all’autodeterminazione, sancito anche dalle convenzioni internazionali.

Tuttavia, il CNF afferma innanzitutto che il divieto per l’avvocato di ascoltare un minore senza il consenso degli esercenti la responsabilità genitoriale, oggi previsto espressamente dall’art. 56 dell’attuale c.d.f., era pacifico già nella giurisprudenza della Cassazione e del CNF formatasi nel vigore del vecchio codice, che giustamente lo riconduceva proprio al generale dovere di correttezza e lealtà.

Onde, nel caso di specie non rilevava se l’avvocato fosse a conoscenza della decadenza della madre (per quanto apparisse inverosimile il contrario), ma solo che egli fosse al corrente che il minore era affidato al padre e presso di lui collocato; il che risultava implicitamente dalla comunicazione dall’avvocato inviata al padre, in cui si preannunciava un ricorso della madre proprio per ottenere l’affidamento e si riportava la volontà del minore di trasferirsi dalla stessa.

In secondo luogo, il CNF aggiunge che -anche a prescindere (per assurdo) dal fatto che le accuse della madre, riguardanti presunte violenze del padre verso i figli, erano state acclarate come infondate, e che anzi nei confronti della donna si era proceduto per calunnia, salvo poi dichiararla non imputabile per vizio totale di mente- laddove fosse esistito un conflitto di interessi, tale da giustificare ai sensi del citato art. 56 la mancata richiesta di consenso al padre, comunque l’avvocato si sarebbe dovuto attivare per conto della madre ai fini della nomina ex art. 78 c.p.c. di un curatore speciale del minore che autorizzasse l’ascolto.

Infine, il CNF conclude evidenziando giustamente che le cautele e i limiti posti dal c.d.f. all’avvocato nell’ascolto del minore, lungi dal costituire fattori di compressione del diritto del minore all’autodeterminazione, valgono a conferire forza e validità giuridica alle scelte con cui il minore si autodetermina.

Pertanto, il CNF rigetta il ricorso e conferma la decisione del COA di sospensione dall’esercizio della professione per la durata di mesi sei.

È appena il caso di precisare che, se un caso del genere si ripetesse oggi, sotto il vigore dell’attuale codice, il problema della mancanza di consenso del padre affidatario non si porrebbe neppure, perché trattandosi di controversia familiare, concernente la modifica dell’affidamento, la fattispecie ricadrebbe nel divieto assoluto di cui al secondo comma dell’art. 56 del vigente codice, che prevede che l’avvocato del genitore, nelle controversie in materia familiare o minorile, debba astenersi da ogni forma di colloquio e contatto con i figli minori sulle circostanze oggetto delle stesse; e quindi anche qualora ricorra il consenso degli esercenti la responsabilità genitoriale.

A cura di Stefano Valerio Miranda

 

Allegato:
38-2019