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giurisprudenza

Il difensore indagato nello stesso procedimento dell’assistito non può garantire l’effettività del diritto di difesa (Cass., Sez. V Pen., 20 dicembre 2022, n. 48337)

La Corte di Cassazione con la pronuncia in commento ha affrontato il tema dell’incompatibilità della difesa di un avvocato già coindagato con il proprio assistito in un procedimento penale.

Occorre premettere che il Giudice per le indagini preliminari, all’esito della richiesta avanzata dal pubblico ministero e formulata ai sensi dell’art. 106 c.p.p., 4 comma, provvedeva a nominare un altro difensore di ufficio per la parte indagata, in luogo del legale già coinvolto nell’ambito del medesimo procedimento penale.

L’avvocato proponeva così ricorso straordinario ex art. 111 Cost., comma 7, deducendo plurime violazioni di principi costituzionali e sovranazionali (CEDU). In particolare veniva contestata la violazione del diritto di difesa in riferimento all’art. 111 Cost., comma 7, artt. 3, 24, 25, 27 e 101 Cost., e artt. 5, 6, 13, 14 e 47 CEDU in quanto l’atto decisorio con cui era stato sostituito il difensore di fiducia era stato adottato in assenza di revoca o di rinuncia al mandato difensivo e, soprattutto, in assenza del necessario contraddittorio con le parti interessate.

La Corte di Cassazione, nel respingere la tesi difensiva, ricorda come nel processo penale non è consentito all’imputato, che rivesta la qualità di avvocato, di esercitare l’autodifesa “difettando un’espressa previsione di legge che la legittimi” (Cfr. Corte di Cass. Pen. Sez. 6, n. 46021 del 19/09/2018). I giudici di legittimità passano poi a declinare la nozione della difesa giudiziaria penale nella doppia accezione di difesa personale e di difesa tecnica. Alla prima, infatti, è correlata la partecipazione dell’imputato nel processo attraverso l’esercizio dei poteri processuali condivisi nel loro libero esercizio con il difensore. Mentre alla difesa tecnica, contemplata dall’ art. 24 Cost. ed esercitata attraverso l’assistenza di un difensore, si accompagna la diversa prospettiva del corretto svolgimento del processo a tutela dell’imputato e a garanzia del regolare esercizio del potere giurisdizionale.

In questo senso la Corte non ravvisa alcun contrasto tra il sistema della difesa giudiziaria penale adottato dall’ordinamento italiano e la Convenzione E.D.U. (art. 6 art. p. 3, lett. c), là dove stabilisce che ogni imputato ha diritto di difendersi da sé medesimo o mediante l’assistenza di un difensore. Ciò in quanto il sistema penale dell’ordinamento italiano non pone l’imputato di fronte all’alternativa di scegliere tra autodifesa o difesa tecnica, ma tende ad assicurare un concorso dell’attività difensiva dell’imputato con quella del professionista, difensore tecnico. In altre parole la soluzione adottata dal legislatore interno non urta con il principio convenzionale, non traducendosi in una compressione o esclusione della difesa personale dell’imputato che, invece, si integra con l’attività defensionale tecnica esercitata dall’avvocato per assicurare al proprio assistito “una più incisiva tutela delle sue posizioni, nell’osservanza del principio di effettività sancito dalla Convenzione”.

La Corte, alla luce dei suesposti principi, dichiara inammissibile il ricorso, valutando come incompatibile il ruolo di difensore da parte dell’avvocato indagato nel medesimo procedimento. Quest’ultimo infatti non sarebbe stato accompagnato da quel “necessario distacco” richiesto invece per l’esercizio della difesa tecnica essenziale ad assicurare “l’effettività alla difesa, nel rilievo costituzionale riconosciuto a tale attività quale componente non rinunciabile dello Stato di diritto”.

A cura di Brando Mazzolai