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giurisprudenza

Il problema della compatibilità tra il ruolo del difensore e l’ufficio del testimone svolto dall’avvocato (Cass., Sez. III, 8 luglio 2010, n. 16151)

La suprema Corte – stabilito che anche in sede civile spetta alle regole deontologiche il compito di individuare in quali casi il munus difensivo possa conciliarsi con l'ufficio del difensore, poiché il problema dei rapporti tra le due figure attiene alla sfera della deontologia professionale – ha affermato che non sussiste un'incompatibilità tra l'esercizio delle funzioni del difensore e quelle di teste nell'ambito del medesimo giudizio, se non nei termini della contestualità.
Ne consegue che il difensore contemporaneamente non può anche essere testimone.
In realtà, non sussiste una base normativa per sostenere che un difensore – che abbia reso testimonianza in un processo, in una fase in cui non svolgeva il ruolo di difensore costituito, non possa assumere la veste di difensore successivamente alla testimonianza resa, oppure l'esatto contrario, cioè a dire che un difensore, cessata la tale qualità, non possa assumere la veste di testimone nello stesso processo.
Tale compatibilità di funzioni trova un idoneo correttivo nel principio del libero convincimento del giudice e nel suo dovere di valutare – con prudente apprezzamento e spirito critico – la deposizione di ogni testimone, che non sia immune dal sospetto di interesse all'esito della causa.
La Corte di Cassazione, a tal riguardo, ha condiviso un precedente orientamento, secondo cui l'interesse che determina l'incapacità a testimoniare – di cui all'art. 246 cpc – si identifica con il solo interesse giuridico personale concreto e attuale, che comporta una legittimazione principale a proporre l'azione, oppure quella secondaria ad intervenire nel processo già proposto da altri cointeressati, ma, non coincide anche con l'interesse di mero fatto, che il testimone possa avere affinchè la causa sia decisa in un certo modo.

A cura di Guendalina Guttadauro