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giurisprudenza

Il regime prescrizionale introdotto dalla nuova Legge Professionale Forense, non si applica agli illeciti commessi prima della sua entrata in vigore (Cass. Sez. Un., 19 aprile 2022, n. 12447)

La pronuncia in esame trae origine da un ricorso proposto da un avvocato, iscritto all’elenco speciale degli avvocati degli enti pubblici, avverso la sentenza del C.N.F. con la quale gli era stata applicata la sanzione disciplinare della sospensione dell’esercizio della professione per due mesi, per avere violato il dovere di esercitare esclusivamente attività di patrocinio nell’interesse dell’ente di appartenenza.

Tra le altre, il C.N.F. aveva rigettato l’eccezione di prescrizione, svolta dall’avvocato, conseguente all’affermata applicabilità, nel caso di specie, dell’art. 51 R.D.L. 1578/1933, in forza del quale l’azione disciplinare si prescrive in cinque anni.

In particolare, con il ricorso di cui alla sentenza che ci occupa, l’avvocato ha ribadito che al caso di specie doveva applicarsi l’art. 51 del R.D.L. n. 1578/1933, in quanto i fatti contestati risalgono al periodo 2010-2012, ossia prima della entrata in vigore della legge n. 247/2012, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 18 gennaio 2013.

La Corte ha ritenuto tale eccezione parzialmente fondata, a tal proposito richiamando precedenti secondo cui “in tema di illecito disciplinare degli avvocati, il regime più favorevole di prescrizione introdotto dall’art.56 della I. n. 247 del 2012, il quale prevede un termine massimo di prescrizione dell’azione disciplinare di sette anni e sei mesi, non trova applicazione con riguardo agli illeciti commessi prima della sua entrata in vigore; ciò in quanto le sanzioni disciplinari contenute nel codice deontologico forense hanno natura amministrativa sicché, per un verso, con riferimento alla disciplina della prescrizione, non trova applicazione lo jus superveniens, ove più favorevole all’incolpato, restando limitata l’operatività del principio di retroattività della lex mitior alla fattispecie incriminatrice e alla pena, mentre, per altro verso, il momento di riferimento per l’individuazione del regime della prescrizione applicabile, nel caso di illecito punibile solo in sede disciplinare, rimane quello della commissione del fatto e non quello della incolpazione”.

Ciò premesso, la Corte ha poi ribadito che l’apertura del procedimento disciplinare determina l’interruzione del termine di prescrizione: pertanto, posto che nel caso di specie il procedimento disciplinare era stato comunicato in data 3 maggio 2016, “l’illecito deontologico sostanziatosi nello svolgimento di attività di gestione amministrativa in favore del Comune e di prestazioni defensionali in favore della ASL in epoca anteriore al 3 maggio 2011 deve quindi ritenersi prescritto”.

Conclusivamente, la Corte ha sancito che “il C.N.F. avrebbe quindi dovuto precisare quali incarichi gestionali e defensionali siano stati affidati all’odierno ricorrente dal Comune [omissis] e, rispettivamente, dalla ASL [omissis], quando lo svolgimento di tali incarichi sia cessato e, sulla scorta di tale accertamento, considerare – ai fini dell’accertamento dell’illecito e della quantificazione della sanzione – esclusivamente quelli il cui svolgimento si sia protratto dopo la data del 3 maggio 2011. Detti accertamenti di fatto, assenti nella sentenza impugnata, non possono essere effettuati in sede di legittimità e dovranno quindi essere svolti, previa cassazione della sentenza in parte qua, dallo stesso C.N.F. in sede di rinvio”.

A cura di Giulio Carano