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giurisprudenza

Il sindacato del giudice di merito sul patto di quota-lite (Cass., Sez. IV, Ord., 14 ottobre 2022, n. 30287)

La Suprema Corte di Cassazione con ordinanza n. 30287/2022 si è pronunciata in ordine alla sindacabilità da parte del giudice di merito sul patto di quota lite.

Nella fattispecie, un avvocato otteneva un D.I. nei confronti dei propri clienti per prestazioni professionali dovutegli in forza di una scrittura ma questi ultimi interponevano opposizione insistendo per la riduzione ad equità della clausola di determinazione del corrispettivo contenuta nell’accordo, integrante un patto di quota lite, in ragione della evidente sproporzione fra opera prestata e compenso pattuito.

Il Tribunale di prime cure respingeva l’opposizione sostenendo che la natura dell’accordo sul compenso (e quindi il patto di quota lite) – integrando una vera e propria pattuizione fra le parti – precludeva al giudicante la possibilità di valutare la congruità di quest’ultimo con l’opera prestata.

Gli opponenti, quindi, proponevano ricorso in Cassazione denunciando la violazione dell’art. 2233 c.c. in quanto il Tribunale avrebbe dovuto sindacare la congruità del compenso configurandosi un patto di quota lite.

La Corte accoglie il ricorso, riconoscendo l’obbligo per il Giudice di merito di verificare se i criteri concordati dalle parti comportassero un’evidente sproporzione del corrispettivo professionale rispetto all’opera professionale prestata.

Nella parte motiva, viene in primo luogo precisato che il patto in esame era stato stipulato nel periodo fra la riforma dell’art. 2233 c.c. ad opera del D.L. 223/2006 e l’entrata in vigore della nuova legge professionale forense, L. 247/2012: tale accordo, comprendente un compenso parametrato in funzione del prezzo di aggiudicazione e del valore dei lotti in vendita ad un’asta cui il legale avrebbe dovuto partecipare quale rappresentante dei ricorrenti, poteva infatti considerarsi valido attesa la mancanza di norme che specificatamente vietassero tale tipo di pattuizione.

In secondo luogo, ed in via definitiva, la Corte ricorda che la pattuizione di un compenso fra avvocato e cliente concerne l’essenza comportamentale richiesta all’avvocato e che, pertanto, lo stesso professionista deve attenersi ad una serie di regole comportamentali nella quantificazione del proprio onorario: nel caso in cui tale pattuizione comporti un significativo squilibrio tra diritti ed obblighi delle parti in funzione dell’attività prestata e del relativo compenso, integrando il patto un accordo fra le parti lo stesso dovrà necessariamente essere verificato ed esaminato dal Giudice in quanto ne potrebbe derivare una nullità del contratto che il Tribunale ha l’obbligo di rilevare e dichiarare (con ogni conseguente declaratoria di legge).

La Corte, poi, ricorda che solo e soltanto all’esito di tale verifica è possibile per il Giudice, laddove la stessa evidenzi la congruità dei parametri, considerare questi ultimi vincolanti.

 

A cura di Andrea Goretti