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giurisprudenza

Illecita la condotta dell’avvocato che dopo aver “escusso” nel proprio studio alla presenza di terzi il “futuro teste”, accrediti come falsa la deposizione resa da quest’ultimo in giudizio (Cass., Sez. Un., 27 ottobre 2011, n. 22380)

Commette un illecito disciplinare per violazione dell’art. 58 del Codice Deontologico Forense l’avvocato che dopo aver ascoltato presso il proprio studio “un futuro teste” in presenza di terze persone, assevera la falsità delle dichiarazioni ricevute assumendo in giudizio la veste di testimone.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno così stigmatizzato il comportamento del legale colpevole di aver portato a compimento una “strategia” impostata con l’escussione “pubblica” del teste nel proprio studio e consistita, al fine di contrastare la versione dei fatti poi resa in giudizio dal teste, nell’addurre la diversa versione riferita nella prima escussione riservata, e nel chiamare a deporre le persone presenti a tale escussione, un collaboratore e un collega di studio, accreditando in tal maniera, con la propria autorevolezza, la persuasività delle circostanze che la articolazione probatoria esponeva.
Pertanto il precetto deontologico violato risulta quello volto a contenere il ruolo defensionale nell’audizione del “futuro teste” nell’ambito della attività di acquisizione riservata, oggettiva e serena di dati afferenti l’utilità per il proprio assistito della eventuale sua indicazione nella controversia. Per contro, non sarà in alcun modo ammessa la strumentalizzazione di tale ruolo finalizzata all’avvalersi di quei riservati colloqui per contestare la non veridicità della deposizione resa in giudizio dal teste.

A cura di Guendalina Carloni