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giurisprudenza

In materia disciplinare non vige il principio di stretta tipicità dell’illecito (Cass., Sez. Un., 30 novembre 2021, n. 37550)

Il CNF confermava la sospensione dall’esercizio della professione forense per dieci mesi comminata dal COA competente a un Avvocato che, non adempiendo al mandato conferitogli, aveva indotto in errore il cliente circa l’avvenuta conclusione di una transazione con la controparte, prima consegnando allo stesso una scrittura privata apocrifa e, poi, offrendo di anticipare la somma oggetto di risarcimento mediante due propri assegni bancari risultati successivamente inesigibili per mancanza di fondi.

L’Avvocato ricorreva in Cassazione, lamentando tra l’altro, relativamente al secondo illecito – emissione di assegni scoperti a favore del cliente – che la condotta non dovesse ritenersi un illecito disciplinare, in quanto non tipizzata nel nuovo Codice deontologico, ispirato, invece, ai principi di legalità e tassatività.

Le Sezioni Unite, rigettando il ricorso e richiamando alcuni precedenti (Cass. S.U. 04 luglio 2018 n. 17534; Cass. SU 29 dicembre 2017, n. 31227), hanno ribadito che, anche se il nuovo Codice deontologico forense è ispirato alla tendenziale tipizzazione delle sanzioni, non trova applicazione il principio di stretta tipicità dell’illecito: l’art. 3, comma 3, della L. n. 247/2012, infatti, precisa che le norme deontologiche devono essere caratterizzate dall’osservanza del principio della tipizzazione della condotta “per quanto possibile”. Ne consegue che la condotta contestata va considerata illecito disciplinare perché idonea per modalità e gravità a violare il generale dovere di esercitare la professione forense “con indipendenza, lealtà, probità, dignità, decoro, diligenza e competenza”, nonché a compromettere il rapporto di fiducia tra cliente e professionista.

A cura di Leonardo Cammunci

precedente: Conforme

Allegato:
37550-2021