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giurisprudenza

La disciplina transitoria della conferma a tempo indeterminato dei giudici di pace al vaglio della Corte Costituzionale (Corte Cost., 23 giugno 2022, n. 157)

La pronuncia in commento trae origine dal conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato da un Giudice di pace di Bologna nei confronti del Presidente del Consiglio, del Ministero della Giustizia, della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, in persona dei rispettivi Presidenti.

Il conflitto trae origine dall’approvazione dei commi da 629 a 633 dell’art. 1 della legge n.234/2021 (legge di Bilancio per l’anno 2022), ai quali parte ricorrente imputa la “mancata estensione al magistrato onorario ricorrente delle stesse condizioni di lavoro previste per legge in favore dei magistrati professionali equivalenti (ex giudici di tribunale)”. In particolare tali disposizioni modificano l’art. 29 d.lgs. n. 116/2017 (Riforma organica della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace) prevedendo una procedura transitoria per la conferma “a tempo indeterminato”, sino al compimento dei settanta anni di età, dei magistrati onorari già in servizio alla data di entrata in vigore del citato decreto legislativo. Le disposizioni impugnate dispongono che la conferma dei giudici onorari già in servizio sia subordinata al superamento di procedure valutative, da svolgersi con modalità semplificate e innanzi ad una apposita commissione, e con attribuzione, in caso di esito positivo, di un trattamento economico, comprensivo di copertura previdenziale e assistenziale, parametrato a quello di un funzionario amministrativo. Viceversa in caso di mancata conferma la disciplina prevede che i magistrati già in servizio cessino dall’incarico “salvo il diritto ad una indennità” da calcolare in rapporto al numero di anni di servizio. Ad avviso del ricorrente, la disciplina sopra richiamata determinerebbe una ”violazione dell’indipendenza e dell’inamovibilità della magistratura onoraria”, delineando “un’inammissibile figura ibrida di magistrato che svolge in via esclusiva […] le stesse funzioni giurisdizionali del magistrato ordinario” e che, ciononostante, verrebbe retribuito come assistente amministrativo. Inoltre la sottoposizione nei confronti del potere amministrativo, quale datore di lavoro “determinerebbe una grave regressione del credito e del prestigio” della magistratura onoraria.

Ciò premesso, la Corte, chiamata a deliberare, nell’ordinanza de qua, sulla sussistenza dei requisiti soggettivo e oggettivo prescritti dall’art. 37 I co., della legge 87/1953 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), ha ritenuto insussistente il requisito soggettivo. Ricorda la Corte come il presupposto essenziale per riconoscere la legittimazione attiva dei singoli organi giurisdizionali – e quindi anche del giudice di pace quale espressione di tale potere – sia quello di essere parte in causa nei conflitti di attribuzione agendo in concreto nell’esercizio delle funzioni giurisdizionali. Secondo costante giurisprudenza costituzionale, la sollevazione del conflitto è possibile solo quando l’organo giudicante “sia attualmente investito del processo, in relazione al quale soltanto i singoli giudici si configurano come organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengano”. (cfr. ordinanza n. 144/2000; analogamente, ordinanza n. 127/2006). Nel caso di specie, i giudici, fanno notare come nell’atto di promovimento del conflitto del giudice di pace di Bologna non venga indicato alcun processo in corso di svolgimento affidato per la trattazione e decisione a parte ricorrente. Tale carenza di legittimazione attiva è evidente nella fattispecie in esame, in cui il ricorrente, non solo non è nell’esercizio delle proprie funzioni giudicanti, ma utilizza il giudizio per conflitto tra poteri in maniera distorta rispetto a quanto previsto dalla legge costituzionale e cioè come una sorta di ricorso diretto svolto esclusivamente in funzione di difesa dei propri asseriti diritti tutelati dalla Costituzione. Tale mancanza dei requisiti di ammissibilità del conflitto, costituisce motivo assorbente rispetto agli altri profili sollevati da parte ricorrente e permette ai giudici della Corte di dichiarare inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato.

 

A cura di Brando Mazzolai