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giurisprudenza

La necessità di rispettare i termini ridotti alla metà in tutte le cause di opposizione a decreto ingiuntivo (Cass., Sez. Un., 9 settembre 2010, n. 19246)

Con la sentenza in commento le Sezioni Unite hanno affermato, discostandosi dalla consolidata giurisprudenza della stessa Corte, che in tutte le cause di opposizione a decreto ingiuntivo, a prescindere dal termine a comparire fissato nella citazione in opposizione, i termini di costituzione dell'opponente e dell’opposto sono sempre ridotti alla metà.
Tale pronuncia determina un effetto dirompente sulle numerosissime cause in corso in quanto la improcedibilità della opposizione per mancata tempestiva iscrizione a ruolo dell'opponente, prevista dall'art. 647 c.p.c. costituisce eccezione rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo (cfr. Cass. Civ., SS.UU. 19 aprile 1982, n. 2387) con conseguente dichiarazione di esecutività del decreto ingiuntivo e l’accertamento con autorità di cosa giudicata sostanziale dell’esistenza e validità del rapporto giuridico presupposto (cfr. Cass. Civ., sez. lavoro, 20 aprile 1996, n. 3757).

Bisogna subito precisare come la Cassazione abbia voluto dare con la sentenza 19246/2010, in virtù della funzione nomofilattica che le compete, un indirizzo preciso e definitivo e questo a prescindere dalla questione che era stata posta alla sua attenzione: nel caso in esame, infatti, l'opponente aveva concesso un termine a comparire inferiore a quello di legge ma aveva iscritto la causa a ruolo nei dieci giorni dalla notifica anziché nei cinque giorni. Sarebbe stato sufficiente per la Corte richiamare la consolidata giurisprudenza sul punto per confermare l'improcedibilità dell'opposizione, tenuto conto che si era sempre ritenuto non rilevante la consapevole manifestazione di volontà di abbreviare i termini ma sufficiente la concessione di un termine inferiore di quello di legge. Invece il Supremo Collegio ha affermato dapprima che in tutte le cause di opposizione a decreto ingiuntivo è “pacifica la sussistenza dell’esigenza di sollecita trattazione dell’opposizione, diretta a consentire la verifica della fondatezza del provvedimento sommario ottenuto dal creditore inaudita altera parte” ed è altrettanto opportuno il bilanciamento della “compressione dei termini a disposizione del convenuto con la riduzione dei termini di costituzione dell’attore” (per consentire all’attore in senso sostanziale – convenuto opposto – di disporre in un tempo più breve i documenti necessari per la redazione delle difese per le quali ha un termine ridotto), ed è giunto ad affermare che “esigenze di coerenza sistematica, oltre che pratiche”, inducono ad affermare che l’effetto della riduzione alla metà dei termini di costituzione dell’opponente e dell’opposto sia automatico e derivi “dal solo fatto che l’opposizione sia stata proposta” in quanto l’art. 645 c.p.c. prevede che in ogni caso di opposizione i termini a comparire siano ridotti alla metà.

Stando così le cose, anche alla luce del nuovo disposto degli articoli 360 bis e 374 c.p.c. che rafforzano la funzione nomofilattica della Corte, se per le cause nuove non si pongono problemi, salvo l'accortezza di iscrivere a ruolo il giudizio di opposizione nei cinque giorni dalla notifica (quindi il più delle volte a mezzo velina), problemi enormi si pongono per tutte le cause di opposizione a decreto ingiuntivo pendenti ed iscritte nei termini sinora ritenuti corretti dalla stessa Corte di Cassazione. Secondo la sentenza in commento, infatti, tali procedimenti sarebbero improcedibili ed è molto probabile che i convenuti opposti eccepiscano alla prima udienza o termine concesso la tardività dell'iscrizione a ruolo.
Si pone allora il problema di come superare, se è possibile farlo (anche al fine di evitare una possibile azione di responsabilità professionale del cliente che si troverebbe costretto a pagare quanto ingiuntogli senza avere la possibilità di incidere sull'accertamento contenuto nel decreto ingiuntivo), la pronuncia di improcedibilità.

Qualcuno – a modesto parere di chi scrive, a proposito – ha richiamato la possibilità di ottenere la remissione in termini. La stessa Corte di Cassazione, infatti, in un’altra recente pronuncia del luglio 2010 (la n. 15811 del 2 luglio 2010) aveva affermato, richiamando il principio costituzionale del giusto processo che “allorché si assista, come nella specie, ad un mutamento, ad opera della Corte di Cassazione, di un’interpretazione consolidata a proposito delle norme regolatrici del processo, la parte che si è conformata alla precedente giurisprudenza della stessa Corte, successivamente travolta dall’overruling, ha tenuto un comportamento non imputabile a sua colpa e perciò è da escludere la rilevanza preclusiva dell’errore in cui essa è incorsa”. La stessa Corte indica nell’istituto della rimessione in termini lo strumento che consente di dare protezione alle aspettative della parte che abbia agito (nel caso di specie, iscritto a ruolo la causa di opposizione a decreto ingiuntivo) confidando sulle regole processuali suggerite da un costante orientamento giurisprudenziale.

Nell’augurarsi che tale ricostruzione venga seguita dai giudici di merito non rimane che attendere le prime pronunce sul punto che, visto il numero di eccezioni che saranno sollevate, non tarderanno ad arrivare.

A cura di Cosimo Papini