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giurisprudenza

La suitas della condotta quale elemento sufficiente per la sussistenza dell’illecito disciplinare (C. N. F., Sent. 9 ottobre 2021, n. 175)

La sentenza in esame trae origine da un procedimento disciplinare instaurato, nei confronti di un avvocato, per violazione dell’art. 52 del Codice Deontologico Forense, norma che vieta all’avvocato di utilizzare “espressioni offensive o sconvenienti negli scritti in giudizio e nell’esercizio dell’attività professionale nei confronti di colleghi, magistrati, controparti o terzi”.

L’incolpato era stato condannato dal competente Consiglio di Disciplina alla sanzione della censura.

Nel merito, tale decisione è stata impugnata dall’avvocato, che ha affermato l’assenza di qualsivoglia intento offensivo nelle espressioni utilizzate, come comprovato da due rilievi:

1.- il Tribunale a quo “con la sentenza n. [OMISSIS]/17, aveva rigettato la domanda dl cancellazione delle stesse, ritenendole non disdicevoli od estranee ad una valida difesa tecnica, ma espresse in un complesso e articolato contesto difensivo”;

2.- “il difensore della sua controparte nel processo svoltosi innanzi il Tribunale di Lecce, unico legittimato a dolersi delle frasi per cui si era proceduto disciplinarmente, non aveva mosso obiezioni di carattere disciplinare”.

Il CNF ha disatteso le difese dell’incolpato sul presupposto, in primo luogo, che l’uso di espressioni rilevanti ex art. 52 Codice Deontologico deve essere sanzionata “indipendentemente dal contesto in cui sono usate e dalla veridicità dei fatti che ne costituiscono oggetto, essendo il relativo divieto previsto a salvaguardia della dignità e del decoro della professione”.

Inoltre, con specifico riferimento alla pretesa assenza di ogni intento offensivo, il CNF ha ribadito il seguente principio: “al fine di integrare l’illecito disciplinare sotto il profilo soggettivo è sufficiente l’elemento della suità della condotta, inteso come volontà consapevole dell’atto che si compie. Il dolo, invece, denotando una più̀ intensa volontà di trasgressione del comando deontologico, rileva nella determinazione della misura della sanzione (…) (Consiglio Nazionale Forense 30.9. 2013, n. 167, conf. CNF 29.11.2012, n. 177)”.

In altre parole, a fronte della volontarietà con la quale è stato compiuto l’atto deontologicamente scorretto (ossia, l’uso di espressioni offensive), non assume rilevanza la sussistenza di una causa di giustificazione o non punibilità (in particolare, non rileva la mancata denuncia da parte del soggetto pretesamente offeso).

A cura di Giulio Carano