Con la sentenza n. 7299 del 6 marzo 2025, le Sezioni Unite della Corte di cassazione tornano a pronunciarsi sul tema del divieto dell’abusivo frazionamento del credito.
La vicenda trae origine da due decreti ingiuntivi richiesti da una struttura sanitaria privata nei confronti della competente ASL per il pagamento di prestazioni sanitarie rese in due differenti mensilità. Mentre il primo decreto non veniva opposto e passava in giudicato, il secondo veniva impugnato e dichiarato improponibile per abusivo frazionamento delle pretese creditorie. La Corte di appello confermava la decisione di primo grado, escludendo che, in relazione ai due importi riferiti alle diverse mensilità, sussistessero specifiche ragioni idonee a giustificare la proposizione di più domande giudiziali distinte.
La parte creditrice proponeva pertanto ricorso per Cassazione, lamentando, da un lato, l’omessa valutazione dell’interesse apprezzabile alla tutela processuale frazionata e, dall’altro, l’erronea applicazione della sanzione dell’improponibilità della domanda, ritenuta eccessivamente vessatorie e sproporzionata rispetto alle finalità di prevenzione dell’abuso del processo.
Le Sezioni Unite richiamano l’evoluzione giurisprudenziale, evidenziando l’alternarsi delle soluzioni adottate in ordine alla frazionabilità della domanda giudiziale: dalla sentenza n. 108/2000, favorevole alla libertà del creditore di frazionare la pretesa, alla svolta del 2007 (Cass. n. 23726), che ha configurato la parcellizzazione arbitraria come abuso del processo, sino alle “sentenze gemelle” del 2017 (nn. 4090 e 4091), che ne hanno ammesso la legittimità solo in presenza di un “interesse oggettivamente apprezzabile alla tutela processuale”.
L’aspetto maggiormente innovativo della pronuncia si rinviene sul punto delle conseguenze processuali derivanti dalla proposizione di una domanda ingiustificatamente frazionata. Le Sezioni Unite, pur confermando la regola generale dell’improponibilità della domanda in assenza di un interesse processuale apprezzabile, precisano che tale sanzione non può essere applicata in modo automatico quando la sua adozione comporti la perdita de facto di quella parte residua della pretesa creditoria su cui si è già formato il giudicato. In simili evenienze, il giudice è tenuto a procedere all’esame del merito della pretesa, al fine di evitare che una misura di carattere processuale si traduca, di fatto, in una limitazione del diritto agire in giudizio. In questi casi, afferma la Corte, “il giudice adito non si potrà spogliare della causa con una pronuncia di improponibilità in rito cui corrisponderebbe il diniego di esame nel merito, ma la domanda dovrà essere esaminata dal giudice di merito che, qualora accerti l’esistenza del credito potrà condannare la controparte al pagamento e al contempo far ricadere l’onere delle spese legali sull’attore (ex artt. 88 e 92 primo comma c.p.c), se ritenga che la domanda sia stata abusivamente frazionata”. Per le ragioni esposte, la Corte di Cassazione ha accolto i motivi di ricorso, disponendo il rinvio alla Corte d’appello affinché proceda a un nuovo esame della vicenda, conformandosi ai principi di diritto enunciati dalle Sezioni Unite, dei quali si rinvia alla lettura integrale nel testo della sentenza, in particolare con riguardo al criterio di proporzionalità della sanzione e alla corretta individuazione dell’interesse processuale frazionato.
A cura di Brando Mazzolai