Direttore Responsabile:

Susanna Della Felice

Coordinatore di Redazione:

Lapo Mariani

giurisprudenza

L’atto di impugnazione stampato e poi riscannerizzato non può essere dichiarato inammissibile (Cass. Pen., Sez. III, Sent., 10 febbraio 2023, n. 5744)

Non è viziato da alcun profilo di inammissibilità l’atto di impugnazione realizzato con un software di videoscrittura, stampato, firmato a penna, successivamente scannerizzato ed infine firmato con firma digitale, in quanto questa procedura, seppur con un passaggio ulteriore, è la medesima prevista dal combinato disposto degli artt. 24, comma 6 bis D.L. 137/2020 e 3, comma  Decreto Direttore Generale dei sistemi informativi ed automatizzati: è questo, in sintesi, il nucleo della sentenza n. 5744 del 10 febbraio 2023 della Terza Sezione Penale della Suprema Corte.

La fattispecie in sintesi: un soggetto impugnava avanti il Tribunale, in proprio ed in qualità di legale rappresentante di una società, l’ordinanza con cui veniva rigettata, da parte del GIP, la richiesta di revoca del sequestro preventivo di alcuni beni societari; l’organo giudicante adito dichiarava l’inammissibilità dell’appello.

Veniva quindi interposto ricorso per Cassazione da parte del soggetto, sempre in proprio e quale l.r.p.t. della società, con due specifici motivi, del quale solo il primo qui interessa.

Quale primo motivo veniva dedotto il vizio di cui all’art. 606, comma 1, lett. c) c.p.p. in relazione all’art. 24, comma 6 ter e 6 sexies D.L. 137/2020: il ricorrente evidenziava che il proprio atto di appello, pur consistendo in un atto firmato, scannerizzato come immagine e poi firmato digitalmente, doveva considerarsi quale originale privo di dubbi circa l’identità del sottoscrittore. Per cui, dato che l’unica causa di inammissibilità (per quanto concerne la firma) di cui all’art. 24, comma 6 sexies D.L. 137/2020 è costituita dalla mancanza della firma digitale il proprio atto non poteva considerarsi inammissibile.

La Suprema Corte ha ritenuto fondato questo motivo di ricorso, così argomentando.

L’art. 24, comma 6 sexies D.L. 137/2020 individua cause tassative di inammissibilità, fra cui la mancata sottoscrizione del difensore, mentre l’art. 24, comma 6 bis dispone l’obbligatorietà della firma digitale, ai sensi del Decreto del Direttore generale dei sistemi informativi ed automatizzati, per l’atto di impugnazione costituito da un documento informatico; documento informatico che è un documento PDF ottenuto trasformando un documento testuale poi sottoscritto con firma digitale.

Nel caso di specie, prosegue la Corte, il ricorrente ha trasformato il file testuale in PDF, l’ha poi stampato, firmato e scannerizzato apponendo la firma digitale sul file scansionato: tale procedura però non è sanzionata in alcun modo atteso che un atto così “confezionato” non rientra tra gli atti tassativamente inammissibili di cui al predetto art. 24, comma 6 sexies (le cause di inammissibilità sono: carenza di sottoscrizione digitale del difensore; carenza di sottoscrizione digitale per conformità all’originale nelle copie informatiche per immagine; invio dell’atto da parte di indirizzo PEC non presente nel REGINDE; invio dell’atto da parte di un indirizzo PEC non intestato al difensore; invio dell’atto ad un indirizzo PEC diverso da quello indicato).

Non v’è alcuna disposizione, del resto, che imponga la natura di “nativo digitale” (cioè, file che non prevede la stampa e la successiva scansione) all’atto informatico costituente l’impugnazione.

All’esito di questa compiuta ricostruzione normativa la Suprema Corte annulla con rinvio l’ordinanza impugnata, seppur soltanto nei confronti della società e non della persona fisica (in quanto priva di interesse a proporre impugnazione).

A cura di Andrea Goretti