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giurisprudenza

L’avvocato è punbile per il reato di patrocinio infedele solo se viene dimostrato il danno alla parte (Cass., Sez. VI Pen., 25 luglio 2011, n. 29653)

Ai fini dell’integrazione della fattispecie di reato di patrocinio infedele, previsto dall’art. 380 c.p., occorre verificare l’esistenza di un “nocumento” agli interessi della parte, che non deve essere inteso soltanto come un vero e proprio danno patrimoniale, ma anche riferito al mancato conseguimento di benefici di natura morale che la parte avrebbe conseguito se il legale si fosse comportato lealmente; è questa l’essenza del dettato normativo che configura il patrocinio infedele come reato di evento.
Dovendo essere il danno subito conseguenza diretta del comportamento infedele, non è pertanto sufficiente la condotta di “astensione” del patrocinatore, laddove non venga verificato in concreto se questa si sia effettivamente tradotta in un’omissione dolosa di difesa ed abbia causato un nocumento alla parte.
Alla luce dei predetti principi, la Suprema Corte, con la sentenza in commento, ha cassato con rinvio al giudice di appello la sentenza di condanna della corte territoriale a carico di un avvocato che aveva fatto perdere le sue tracce senza svolgere alcuna attività difensiva, dopo avere incassato un acconto dal cliente, costretto a nominare un nuovo difensore. A detta della Corte, i giudici di merito avevano completamente omesso di valutare che lo stallo difensivo dovuto alla “sparizione” del legale, avesse compromesso il conseguimento di benefici, anche solo morali, alla parte offesa.

A cura di Guendalina Carloni