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giurisprudenza

L’avvocato ha diritto al compenso per la redazione del contratto, anche se poi questo non viene concluso (Cass., Sez. II, Ord., 31 gennaio 2023, n. 2788)

La vicenda in commento trae origine dall’azione giudiziale esercitata da un avvocato contro un suo ex cliente per il recupero del compenso a lui dovuto per prestazioni giudiziali e stragiudiziali.

Controverso è in particolare l’onorario concernente la predisposizione di un contratto (avente ad oggetto la suddivisione tra ognuno dei quattro soci del patrimonio di una società in nome collettivo) in seguito non sottoscritto dalle parti, e dunque non perfezionatosi per difetto di accordo fra loro.

Mentre il Tribunale di Alessandria riconosce all’avvocato l’importo di € 15.536,20 -facendo applicazione del punto f della tabella D delle tariffe di cui al D.M. 127/2004 (applicabile nel caso di specie ratione temporis), che prende in considerazione la “redazione di contratti” oppure “l’assistenza alla relativa stipulazione e redazione”-, la Corte d’Appello di Torino, invece, esclude che spetti all’avvocato tale onorario, sul presupposto che per “redazione” debba intendersi, ai sensi del punto f cit., solo la stesura definitiva di un testo contrattuale sottoscritto da tutte le parti interessate e quindi per esse vincolanti (restando per contro irrilevanti eventuali bozze o mere proposte contrattuali).

Cosicché la Corte d’Appello riconosce all’avvocato, per l’attività in questione, solo la somma di € 1.100,00 oltre accessori, che l’appellante aveva riconosciuto essergli dovuta per “redazione bozza scrittura”.

L’avvocato non si dà per vinto e propone ricorso in cassazione, insistendo per la riconducibilità dell’attività svolta alla norma tariffaria di cui al punto f della tabella D (in quanto equiparante redazione del contratto e assistenza alla relativa stipula), e comunque per la necessità di ricompensarla, una volta eseguita.

La Cassazione conferma che in effetti la “redazione di contratti” prevista dal punto f della tabella D del D.M. n. 127 cit. dev’essere ravvisata solo quando la prestazione dell’avvocato si concretizzi in un vero e proprio “contratto” giuridicamente vincolante tra i relativi contraenti, atteso il chiaro ed inequivoco riferimento operato dalla norma tariffaria alla “redazione” non di un qualsivoglia documento, ma di un vero e proprio “contratto” (così discostandosi da Cass. n. 27097/2021).

Senonché, la Corte accoglie comunque il ricorso e cassa con rinvio alla Corte d’Appello, rilevando che, ove il contratto predisposto dal legale non sia poi, per qualunque ragione, formalizzato sul piano giuridico tra le relative parti, l’attività professionale dallo stesso resa su incarico del cliente dev’essere ciononostante compensata in base all’art. 6 cap. III del D.M. n. 127 cit., che prevede che per le pratiche iniziate ma non giunte a compimento l’avvocato abbia comunque il diritto a percepire gli onorari per l’opera prestata, comprendendosi in questa il lavoro preparatorio compiuto dal professionista (purché ricorra la concreta ed effettiva idoneità funzionale delle prestazioni svolte dallo stesso a conseguire il risultato programmato con il conferimento del relativo incarico).

Tale compenso, in mancanza di accordo tra le parti, dev’essere determinato applicando alle singole prestazioni professionali effettivamente svolte le corrispondenti voci della relativa tariffa o, in mancanza, in via equitativa ai sensi dell’art. 2233 c.c.

È appena il caso di evidenziare che anche i parametri vigenti di cui al D.M. 2014 n. 55 prevedono espressamente all’art. 25 il diritto dell’avvocato, in caso di incarico stragiudiziale iniziato ma non portato a termine, a ricevere il compenso maturato per l’opera svolta fino alla cessazione per qualsiasi causa del rapporto professionale, da liquidarsi (in assenza di accordo) in base ai criteri dettati dal D.M. 2014 cit. e quindi innanzitutto dai parametri generali di cui all’art. 19.

A cura di Stefano Valerio Miranda

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Allegato:
2788-2023