Direttore Responsabile:

Susanna Della Felice

Coordinatore di Redazione:

Lapo Mariani

giurisprudenza

L’avvocato ha l’onere di provare il diritto al compenso ma non anche il mancato pagamento (Cass., Sez. VI, Ord., 30 gennaio 2020, n. 2276)

Con la pronuncia in esame, la Corte affronta il tema dell’onere della prova che incombe sul professionista che agisce in giudizio per il pagamento dei suoi compensi.

Con due distinti atti di citazione, l’avvocato evocava in giudizio un proprio cliente chiedendone la condanna al pagamento di quanto dovuto a titolo di compensi per l’assistenza prestata in favore di quest’ultimo in due giudizi pendenti dinanzi il medesimo Tribunale.

In entrambi i giudizi si costituiva il cliente eccependo di aver integralmente saldato il professionista.

Il Tribunale, dopo aver riunito le due cause, rigettava le domande del professionista ritendo che costui avesse dimostrato l’esistenza del mandato e lo svolgimento dell’attività professionale, ma ne quantificava il compenso in misura inferiore e concludeva affermando che esso fosse già stato pagato mediante gli acconti ricevuti.

La Corte d’Appello confermava la decisione ritenendo che, a fronte dell’indicazione, da parte del cliente, che il credito preteso dall’avvocato fosse stato estinto mediante il versamento di altra somma, era onere di quest’ultimo dimostrare che detto pagamento si riferisse ad altra causa.

Il professionista ricorreva quindi in Cassazione con due motivi, di cui prenderemo in esame soltanto il secondo per quanto è qui di interesse.

Riteneva il legale che la Corte territoriale avesse errato nel ritenere il pagamento da lui ricevuto dopo l’instaurazione dei due giudizi satisfattivo della sua domanda, giacchè egli aveva provato che in realtà detto pagamento si riferiva ad altre e diverse pretese creditorie.

La Corte di Cassazione ha ritenuto fondata la doglianza del professionista ed ha richiamato il principio di diritto, già affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui il creditore che agisce per il pagamento ha l’onere di provare il titolo del suo diritto ma non anche il mancato pagamento, giacché il pagamento integra un fatto estintivo la cui prova incombe al debitore che l’eccepisca (ex multis Cass. Sez. II, Sentenza n. 19527/2012; Cass. Sez. III, Sentenza n. 6463/2017).

Il debitore, prosegue la Corte, per dimostrare l’adempimento non deve limitarsi alla semplice allegazione dell’avvenuto pagamento, ma ai sensi dell’art. 1193 c.c. deve altresì fornire la prova che il pagamento sia stato eseguito con riferimento a un determinato credito, poiché solo in tal caso si può configurare l’efficacia estintiva del pagamento stesso, e l’onere della prova torna a gravare sul creditore allorchè costui affermi che il pagamento deve imputarsi ad un credito diverso da quello indicato dal debitore.

A parere della Corte il debitore deve quindi dimostrare di aver dichiarato, contestualmente al pagamento, quale debito intendeva estinguere; in difetto di tale prova, soccorrono i criteri previsti dal secondo comma dell’art. 1193 c.c.

Applicando questi criteri di imputazione, la Corte ha confermato il suo precedente orientamento (cfr. Cass. Sez. II, Ordinanza n.28779/2018) statuendo che quando un avvocato agisca per il soddisfacimento di un determinato credito riferito a specifiche prestazioni professionali ed il cliente eccepisca di avere corrisposto nel tempo una somma maggiore a quella richiesta, riferendola indistintamente a tutte le pratiche curate dal legale nel suo interesse, l’onere del debitore di dimostrare l’efficacia estintiva del versamento non può ritenersi assolto in base al fatto che il professionista non abbia contestato la ricezione della somma, ma si sia limitato a dedurre l’incongruenza tra il credito oggetto della domanda e l’importo oggetto dell’eccezione. Infatti, laddove la corrispondenza tra gli importi del credito e del pagamento non emerga direttamente dagli atti, ovvero da altre circostanze idonee, anche presuntivamente, a circoscrivere ed individuare l’effettiva efficacia estintiva del pagamento eccepito dal debitore, costui non può limitarsi a sostenerne genericamente la natura omnicomprensiva.

La Corte ha accolto quindi il secondo motivo di ricorso e cassato sul punto la sentenza della Corte territoriale.

A cura di Corinna Cappelli