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giurisprudenza

L’avvocato per vedere soddisfatti i propri crediti professionali non può procedere con il rito ordinario di cognizione (Cass., Sez. VI, 29 febbraio 2016, n. 4002)

Con la sentenza in commento, la sesta sezione della Suprema Corte, pone finalmente l’attenzione e si pronuncia, sugli strumenti processuali utilizzabili dagli avvocati al fine di procedere al recupero dei loro crediti professionali, alla luce dell’applicazione del D.Lgs. n. 150 del 2011 e conformemente all’orientamento della Corte Costituzionale in materia.
Indubbiamente il dato saliente di questo arresto giurisprudenziale è ravvisabile sia nell’esclusione della possibilità di utilizzare il procedimento di cognizione ordinario che, se introdotto, andrebbe certamente incontro ad un provvedimento sul mutamento di rito a favore di quello sommario e con l’esclusione della possibilità “che nel giudizio sommario di cognizione obbligatorio il giudice, valutata la complessità della singola controversia concretamente proposta con il ricorso ex art. 702 bis c.p.c., possa disporne il passaggio al rito ordinario di cognizione..”
La Corte ritiene infatti che attualmente, i rimedi processuali riservati agli avvocati per vedere soddisfatte le loro parcelle, siano tre e specificatamente, a seconda del singolo caso di specie: il ricorso per decreto ingiuntivo ex artt. 633 e ss. c.p.c., la speciale procedura ex artt. 28 e ss. della legge n. 794 del 1942, non attivabile quando la controversia non si limiti alla mera determinazione del compenso del professionista e che comunque, se oggetto di opposizione, subirebbe necessariamente il provvedimento che dispone la prosecuzione del giudizio con le forme del rito sommario di cognizione ed infine il procedimento sommario di cognizione ex art. 702 bis c.p.c..

A cura di Lapo Mariani