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giurisprudenza

L’avvocato stabilito con poche collaborazioni nel triennio dalla relativa iscrizione all’albo speciale non può essere dispensato dalla prova attitudinale prevista per l’esercizio dell’attività con il titolo di avvocato (Cass., Sez. Un, 13 dicembre 2023, n. 34961)

La Suprema Corte interviene a confermare la decisione del CNF ed ancor prima quella del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati territorialmente competente che aveva rifiutato l’iscrizione nell’albo ordinario, previa dispensa dalla prova attitudinale di cui all’art. 8 del D. Lgs. n. 115 del 1992, da parte di un avvocato stabilito. A fondamento della decisione, sia del COA che del CNF era stata evidenziato il numero ridotto delle collaborazioni dell’abogado istante, riferibili ad appena quattro procedimenti giudiziari, senza peraltro che fosse emerso con chiarezza quale fosse stato effettivamente il relativo apporto, così come del tutto indimostrato era rimasto il presupposto che richiede un adeguato numero di clienti ed il correlato “giro d’affari. La Suprema Corte, nel ripercorrere la normativa vigente in materia di esercizio della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquisita la qualifica professionale, ne ha in seguito evidenziato la relativa applicazione giurisprudenziale in forza della quale l’avvocato stabilito, che abbia acquisito la qualifica professionale in altro Stato membro dell’Unione Europea, può ottenere la dispensa dalla prova attitudinale di cui al D. Lgs. n. 115 del 1992, art. 8, qualora abbia esercitato in Italia, in modo effettivo e regolare, la professione con il titolo professionale di origine per almeno tre anni, a decorrere dalla data di iscrizione nella sezione speciale dell’albo degli avvocati. Quindi, al fine di conseguire la dispensa suddetta, l’esercizio della professione forense da parte dell’avvocato stabilito deve essere: a) di durata non inferiore a tre anni scomputando gli eventuali periodi di sospensione; b) effettivo e quindi non formale o addirittura fittizio e senza interruzioni che non siano quelle dovute agli eventi della vita quotidiana; c) regolare e quindi nel rispetto della legge forense e del codice deontologico; d) con il titolo professionale di origine. Nel caso di specie nessuna delle censure mosse alla decisione impugnata viene ritenuta fondata, in quanto, afferma la Suprema Corte, “la sentenza del CNF ha accertato che il Consiglio dell’Ordine ha proceduto ad una articolata istruttoria, in ossequio ai compiti al medesimo assegnati dalla Legge (..) non ritenendo integrati i requisiti oggettivi e soggettivi” necessari per ottenere la dispensa richiesta, finendo pertanto per rigettare il ricorso con relativa condanna del ricorrente alle spese del giudizio.

                                                                                                                                                                                                                                                                                A cura di Elena Borsotti