Con la presente pronuncia la Corte di Cassazione ribadisce alcuni principi vigenti in materia di regolamentazione convenzionale del compenso professionale.
Anzitutto la Corte di Cassazione afferma che è del tutto legittimo che, nell’ambito di una convenzione professionale, le parti decidano di regolare il compenso dovuto per attività precedentemente svolte nell’ambito di una relazione unitaria tra le parti.
Ricorda poi quanto già affermato in propri precedenti, ossia che lo studio professionale associato “rientra a pieno titolo nel novero di quei fenomeni di aggregazione di interessi cui la legge attribuisce la capacità di porsi come autonomi centri di imputazione di rapporti giuridici, muniti di legale rappresentanza in conformità della disciplina dettata dall’art. 36 c.c. (Cass. n. 17683 del 2010; conf., Cass. n. 22439 del 2009; Cass. n. 24410 del 2006; e, prima ancora, Cass. n. 4628 del 1997)”. E siccome, ai sensi dell’art. 36 c.c., gli associati possono anche attribuire all’associazione la legittimazione a stipulare contratti e ad acquisire la titolarità di rapporti, ne consegue che, ove il giudice del merito accerti tale circostanza, sussiste la legittimazione attiva dello studio professionale associato (Cass. n. 15694 del 2011; conf. Cass. n. 15417 del 2016; Cass. n. 8768 del 2018 che ha ribadito l’assimilazione della figura in esame alle associazioni non riconosciute; Cass. n. 17718 del 2019; Cass. n. 2332 del 2022).
Infine la Corte di Cassazione afferma che quanto stabilito dall’art. 13 bis della L.P. in punto di equo compenso (norma che prevede, da un lato, che le convenzioni aventi a oggetto lo svolgimento, anche in forma associata o societaria, delle attività esclusive di avvocato in favore di imprese bancarie e assicurative, nonché di imprese non rientranti nelle categorie delle microimprese o delle piccole o medie imprese, come definite nella raccomandazione 2003/361-CE della Commissione, del 6 maggio 2003, si presumono unilateralmente predisposte dalle imprese suddette, salva prova contraria e dall’altro che, ai fini della stessa norma, si considerano vessatorie le clausole contenute nelle ripetute convenzioni che determinano, anche in ragione della non equità del compenso pattuito, un significativo squilibrio contrattuale a carico dell’avvocato), non possa avere alcuna efficacia retroattiva e non possa pertanto essere invocato per verificare la congruità dei compensi stabiliti in convenzioni sottoscritte antecedentemente la sua entrata in vigore.
Nel caso di specie il ricorso veniva proposto da uno studio legale che era risultato soccombente nel merito nell’ambito di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo relativo ai compensi astrattamente dovuti da parte di una società assicurativa. Nel merito si accertava infatti che i compensi erano stati ristabiliti in una convenzione del 2013 perfettamente valida ed efficace e che pertanto lo studio associato non avesse diritto al maggior compenso richiesto.
La Corte di Cassazione, sulla base delle suddette motivazioni, respingeva il ricorso di legittimità proposto dallo studio legale associato.
A cura di Silvia Ventura