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giurisprudenza

Nel processo penale alle parti private non è consentito effettuare comunicazioni e notificazioni mediante l’utilizzo della posta elettronica certificata (Cass., Sez. II Pen., 30 marzo 2016, n. 12878)

La sentenza in commento trae origine da una vicenda cautelare, nella quale il Tribunale della Libertà di Firenze aveva dichiarato inammissibile la richiesta di riesame dell’ordinanza applicativa della misura cautelare, proposta dal difensore a mezzo PEC. Avverso tale decisione il ricorrente eccepiva che la stessa Suprema Corte aveva già ritenuto legittima la trasmissione degli atti difensivi mediante posta elettronica, con il preciso limite per il quale gravava sul mittente l’onere di dimostrare che l’istanza fosse tempestivamente pervenuta all’esame del Giudice. In secondo luogo il difensore richiamava il generale obbligo del Giudice di provvedere sulle istanze che avevano raggiunto il loro scopo, principio ritenuto applicabile al caso di specie in quanto il Tribunale aveva certamente conosciuto l’atto de quo, avendolo dichiarato inammissibile. La Suprema Corte, richiamando precedenti orientamenti conformi, riafferma il principio in forza del quale “nel processo penale alle parti private non è consentito effettuare comunicazioni e notificazioni a mezzo posta elettronica certificata”. Precisa infatti che le modalità di presentazione e spedizione delle impugnazioni, disciplinate dall’art. 583 c.p.p., espressamente richiamato dall’art. 309 c.p.p. in tema di riesame, sono tassative e non ammettono equipollenti. Infine, i Giudici di legittimità non ritengono condivisibile neppure il richiamo alla disciplina normativa della PEC, in quanto mai estesa alla proposizione delle impugnazioni nell’ambito del procedimento penale, che dunque rimangono quelle previste dall’ordinamento, di cui alle  norme sopra richiamate. La Corte rigetta dunque il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

A cura di Elena Borsotti

 

Allegato:
12878-2016