La vicenda vede coinvolto un avvocato ritenuto responsabile di una pluralità di reati, quali truffa, esercizio abusivo della professione, falso e infedele patrocinio, in quanto, avendo accettato mandati difensivi per cause civili e penali, aveva fatto credere ai propri clienti di svolgere normalmente attività difensiva e di assistenza legale mentre, di fatto, era interdetto dall’esercizio dell’attività professionale.
La Suprema Corte ribadisce che ai fini della sussistenza del reato di patrocinio infedele è necessario che l’agente abbia posto in essere una qualsivoglia attività dinanzi all’autorità giudiziaria, anche non necessariamente processuale. Per la configurazione del suddetto reato è dunque necessaria la pendenza di un procedimento nell’ambito del quale deve realizzarsi la violazione degli obblighi assunti con il mandato, anche se la condotta non deve necessariamente estrinsecarsi in atti o comportamenti processuali.
Gli Ermelllini confermano quindi propri orientamenti precedenti, stabilendo che il reato di patrocinio infedele sanziona la condotta del patrocinatore che, infedele ai suoi doveri professionali, arrechi nocumento agli interessi della parte da lui difesa, assistita o rappresentata, dinanzi all’autorità giudiziaria, per cui essa non può trovare applicazione qualora la condotta si riferisca ad attività poste in essere prima dell’instaurazione del procedimento e ad esso prodromiche.
A cura di Costanza Innocenti