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giurisprudenza

Non ci si può appellare alla presenza di un malware nel proprio pc per giustificare il ricorso tardivo (Cass., Sez. II, Ord., 8 marzo 2023, n. 6939)

L’eventuale malfunzionamento del computer (anche dovuto a virus) non discolpa la tardività del ricorso: è questo l’approdo cui è giunta la Suprema Corte con sentenza n. 6939 dell’8 marzo scorso.

La fattispecie in sintesi: alcuni soci (illimitatamente responsabili) interponevano opposizione al decreto ingiuntivo con il quale un professionista richiedeva il pagamento del compenso per prestazioni rese in favore della società, ottenendo la revoca dell’ingiunzione. Il professionista impugnava la revoca dell’ingiunzione e, all’esito del giudizio di appello, la sentenza di primo grado veniva riformata.

I soci depositavano ricorso per Cassazione, articolando due motivi precisi: la Suprema Corte, però, non è mai scesa nel merito della questione rilevando sin da subito la tardività di tale impugnazione.

Gli ermellini, difatti, rilevavano che la sentenza di appello veniva notificata ai soci tramite PEC il 15.9.2021 mentre il ricorso risultava proposto il 23.2.2022 e cioè ben oltre il termine fissato dall’art. 325, comma 2, c.p.c. (di 60 giorni): la tardività manifesta del ricorso travolgeva anche la richiesta di rimessione in termini in quanto, precisa la Corte, “la decadenza dal diritto di impugnazione non è riconducibile ad un fattore estraneo alla parte, che abbia i caratteri dell’assolutezza e che abbia causato in via esclusiva la tardività dell’impugnazione”.

A nulla, quindi, valgono le lamentele dei ricorrenti i quali si dolgono della circostanza per cui il proprio tecnico informatico, intervenuto per risolvere un malfunzionamento del computer, probabilmente dovuto ad un malware, avrebbe inavvertitamente cancellato i messaggi di notifica del ricorso, comunque rimasti sul computer nella cartella destinata ai files cancellati.

Il Supremo Consesso, sul punto, “bacchetta” i ricorrenti evidenziando che la perdita dei files poteva essere prevista e prevenuta a mezzo copia su hard disk esterno dei medesimi e che l’infezione da virus poteva essere prevenuta a mezzo manutenzione ordinaria della posta ed installazione di antivirus come previsto dal D.M 44/2011 (Regolamento concernente le regole tecniche per l’adozione nel processo civile e nel processo penale delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, in attuazione dei principi di cui al D.lgs. n. 82/2005): tale regolamento, come noto, impone una serie di obblighi tra cui la dotazione di antivirus idoneo a rilevare, tracciare ed eliminare i virus nonché di un aggiornato software antispam, filtrante messaggi indesiderati.

All’esito, pertanto, dichiara il ricorso inammissibile e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali ed al raddoppio del contributo unificato.

A cura di Andrea Goretti