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giurisprudenza

Non si può oscurare il nominativo del difensore in una pronuncia giurisdizionale in assenza di specifici motivi legittimi ovvero di esigenze meritevoli di tutela considerabili prevalenti rispetto al principio di pubblicità delle sentenze (Cons. St., Sez. VI, Ord., 28 aprile 2023, n. 4250)

Con il provvedimento in esame il Consiglio di Stato ha respinto l’istanza con la quale il difensore dell’appellante aveva chiesto l’oscuramento dei propri dati personali dall’ordinanza cautelare con la quale lo stesso Giudice aveva respinto la domanda proposta da quest’ultimo per assenza del fumus boni iuris.

Nel respingere la domanda cautelare proposta dall’appellante il Giudice di secondo grado aveva infatti ritenuto che l’appello, a un primo sommario esame, fosse da ritenersi inammissibile per violazione del principio di specificità dei motivi di impugnazione.

Il difensore dell’appellante aveva quindi proposto istanza di oscuramento del proprio nominativo dal provvedimento in questione, motivando tale richiesta con l’esigenza di tutelare la propria riservatezza al fine di evitare, in particolare, che, dalla lettura dell’ordinanza cautelare (di natura necessariamente provvisoria e sommaria fino alla sentenza conclusiva del giudizio), il suo nome potesse essere associato a un eventuale errore professionale consistente nella mancata specificazione dei motivi di impugnazione nell’atto di appello.

Il Consiglio di Stato, tuttavia, ha ritenuto tale istanza infondata in quanto a norma dell’art. 86 del c.p.a., l’indicazione dell’avvocato delle parti (unitamente all’indicazione del giudice adito e del collegio) è uno dei contenuti necessari del provvedimento giurisdizionale, che può semmai essere oscurato solo in presenza di motivi legittimi ovvero esigenze meritevoli di tutela considerabili prevalenti rispetto al principio di pubblicità delle sentenze.

Esigenze queste che nella specie non ricorrevano perché le pronunce cautelari sono per loro natura provvisorie e sommarie e dunque non sono idonee a ledere i diritti e la dignità del soggetto interessato (nella specie: il difensore), ben potendo essere oggetto di più approfondita valutazione in sede di definizione nel merito del giudizio né pregiudicano l’aspettativa della parte (e del suo difensore) a una diversa valutazione in sede di merito dell’ammissibilità dell’appello.

A cura di Giovanni Taddei Elmi