Il CNF ha analizzato il ricorso di un avvocato che si era visto comminare dal CDD di competenza la sanzione disciplinare della censura per violazione degli artt. 15 e 70 comma 6 del Codice Deontologico Forense in relazione all’art 12 comma 4 del regolamento per la formazione continua, avendo conseguito 9 crediti formativi nel triennio di riferimento su un totale di 60.
Tra i motivi di impugnazione il ricorrente lamentava l’infondatezza ed illegittimità del rifiuto di assumere le prove testimoniali capitolate e l’apoditticità della sentenza, in quanto, l’assenza di istruttoria non avrebbe permesso di verificare la costante cura della propria preparazione personale.
A suo dire i testi indicati – clienti, colleghi avvocati e giudici – avrebbero tutti potuto confermare la professionalità del ricorrente avendo sempre curato la propria formazione attraverso lo studio personale. Inoltre, sosteneva il ricorrente che non risulterebbe dimostrato che la formazione professionale continua abbia l’effetto di accrescere la competenza professionale di tutti gli avvocati.
Il CNF rigettava il ricorso e confermava integralmente la pronuncia del CDD competente sulla scorta di giurisprudenza conforme secondo la quale “L’obbligo formativo non può essere surrogato dallo svolgimento dell’attività autoformativa dell’avvocato né attenuato dagli impegni professionali svolti dall’avvocato stesso” (Cassazione a SSUU n. 9547/2021).
Inoltre, il Consiglio Nazionale Forense ha anche avuto modo di precisare che benché il ricorrente non avesse impugnato l’entità della sanzione (essendosi limitato a chiedere la riforma integrale della pronuncia) era necessario valutare “la corretta dosimetria della sanzione disciplinare applicata”. A tal riguardo i giudicanti hanno ritenuto corretta la sanzione della censura irrogata dal CDD in quanto l’incolpato non aveva ammesso la propria responsabilità, ritenendo di non essere tenuto all’assolvimento dell’obbligo formativo e dimostrando un particolare grado della colpa, quando, invece, l’ammissione di responsabilità avrebbe potuto mitigare la sanzione disciplinare.
A cura di Sofia Lelmi