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giurisprudenza

Sanzionato l’avvocato che si accaparra la clientela tramite agenzia d’affari (Cass., Sez. Un., 5 settembre 2023 n. 25940)

La sentenza trae origine dalla pronuncia con cui il CNF ha rigettato l’impugnazione proposta da un legale avverso il provvedimento con cui il CDD di appartenenza nel 2018 gli aveva irrogato la sanzione della censura per essersi avvalso di un’organizzazione stabile per il procacciamento della clientela a seguito di procedimento disciplinare apertosi nel 2011.

In sostanza, il CNF aveva ritenuto provata l’imputazione a carico del professionista di aver intrattenuto stabile collaborazione con un’agenzia, nei locali della quale venivano sottoscritte le procure ed avveniva il primo incontro con i clienti, in forza della quale l’agenzia doveva rimborsare le spese anticipate dal legale per conto dei clienti ed era previsto un compenso per la medesima agenzia pari ad una quota dei risarcimenti percepiti dal singolo cliente.

Avverso tale decisioni, il professionista ricorre in Cassazione con tre motivi, con il principale dei quali contestava la violazione e la falsa applicazione dell’art. 65 comma 5 della L. n. 247/2012, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che la sanzione irrogata dal CDD fosse più favorevole di quella prevista dalla disciplina previgente ovvero dall’art. 40 del R.D. n. 1578/1933, il quale consentiva di scegliere tra una pluralità di sanzioni, anche meno gravose della censura.

La Cassazione ritiene tutti i motivi di ricorso infondati, evidenziando con particolare riferimento alla lamentata violazione dell’art. 65 L 247/2012 che detta norma ha recepito il criterio del favor rei in luogo del principio tempus regit actum, per cui le norme del nuovo Codice Deontologico si applicano ai procedimenti in corso al momento della sua entrata in vigore, se più favorevoli per l’incolpato.

Correttamente, quindi, la sentenza impugnata ha confrontato i regimi sanzionatori applicabili alla violazione accertata, individuando la sanzione corretta nella censura ed evidenziando l’astratta possibilità di attenuarla nell’avvertimento o di aggravarla fino alla sospensione non superiore ad un anno, ma ritenendola adeguata alla gravità dei fatti ed alla loro protrazione nel tempo, concludendo pertanto per la portata più favorevole di tale trattamento rispetto a quello previsto dalla disciplina previgente.

Apprezzamento questo che per la Suprema Corte non è censurabile in Cassazione.

Il ricorso viene quindi rigettato.

A cura di Corinna Cappelli