La Corte di Cassazione, con la decisione in esame, ha affrontato il tema della responsabilità professionale derivante da una strategia processuale asseritamente non condivisa dalla parte assistita in giudizio.
Nello specifico alcuni clienti agivano in giudizio nei confronti dei propri avvocati per ottenere la risoluzione, per grave inadempimento del contratto d’opera professionale avente ad oggetto una procedura di espropriazione per pubblica utilità di un loro immobile, nonché il risarcimento dei conseguenti danni.
In primo e secondo grado i giudici rigettavano la domanda degli attori che insistevano per l’accoglimento delle proprie doglianze di fronte alla Corte di Cassazione.
Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti contestavano la strategia processuale dei legali che avevano proposto un giudizio di opposizione all’indennità di occupazione per un periodo limitato anziché per tutto l’intero periodo. La Corte, accogliendo le motivazioni dei due precedenti gradi di giudizio, respinge il motivo di impugnazione in considerazione del fatto che i legali non avrebbero potuto estendere la domanda indennitaria all’intero periodo di occupazione legittima, in un momento in cui la stessa non si era ancora verificata. Inoltre sul punto i giudici ritengono corretto l’operato degli avvocati che avevano comunque proposto la domanda in questione nel secondo grado di giudizio e che tale soluzione fosse stata oltreché corretta anche il frutto di strategia processuale concordata con i clienti e non di una mera dimenticanza. I ricorrenti con il secondo motivo di ricorso contestavano poi la sentenza di appello per il mancato riconoscimento della responsabilità professionale degli avvocati che non avevano informato i clienti dell’avvenuta pubblicazione della sentenza di appello e non avevano proposto ricorso per Cassazione. Anche in questo caso i giudici di legittimità richiamano “la prudente valutazione delle prove emergenti dagli atti” svolta dalla Corte di Appello. Sostiene infatti la Corte che i plurimi e concordanti elementi logico-documentali allegati dai difensori costituivano “presunzioni univocamente convergenti” nel provare che “l’informativa ai clienti del deposito della sentenza era stata resa e che la decisione sulla mancata impugnativa era stata discussa e condivisa con i clienti”.
In considerazione dell’infondatezza delle argomentazioni i giudici della Corte di Cassazione hanno rigettato il ricorso e condannato i ricorrenti al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità.
A cura di Brando Mazzolai