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giurisprudenza

Si al compenso per l’avvocato anche se gli atti di causa sono stati redatti dalla figlia del cliente (Cass. Sez. II, 24 maggio 2023, n. 14283)

L’avvocato che si limita a sottoscrivere e depositare in giudizio gli atti redatti e confezionati da un’altra persona, nel caso di specie dalla figlia del cliente, ha comunque diritto al compenso da parte del predetto cliente giacché, da un lato, il rapporto professionale (e relativa obbligazione di pagamento) è comunque sorto e, dall’altro, senza il patrocinio del legale gli atti non possono entrare nel processo: così ha statuito la Corte di Cassazione con la recente sentenza n. 14283/2023.

La fattispecie in sintesi: il cliente/ricorrente impugnava la liquidazione tribunalizia dei compensi professionali del proprio avvocato/resistente ritenendo il provvedimento viziato da insanabile contradditorietà nella motivazione; nello specifico, lamentava che il Tribunale, pur avendo accertato che gli atti di causa erano stati redatti dalla figlia del cliente / praticante avvocato e dall’avvocato soltanto sottoscritti, comunque liquidava oltre 19.000,00 euro di compensi (per come richiesti dal legale).

Per il ricorrente, quindi, la liquidazione non era corretta poiché:

  1. i) il compenso per la fase studio doveva venire meno per carenza di “apporto intellettivo – redazionale”;
  2. ii) il compenso per la fase istruttoria, al contempo, avrebbe dovuto ridursi di oltre il 70% in ragione della poca importanza dell’opera prestata dal legale.

La Suprema Corte, esaminate le carte, ha così statuito.

La circostanza che gli atti siano stati redatti dalla figlia del cliente ha comunque comportato la costituzione di un rapporto professionale fra avvocato e cliente con ogni conseguenza in termini di pagamento: in particolare, la Corte ha precisato che il patrocinio di un avvocato è condizione necessaria ed indispensabile (per il tipo di controversia dedotta) affinché gli atti processuali possano entrare nel processo ed essere così esaminati dal Giudice.

Per cui, comunque, l’avvocato ha diritto al compenso in quanto il cliente, autonomamente, non potrebbe difendersi in giudizio.

A ciò la Corte ha anche aggiunto che la fase studio è comunque sempre presente al momento in cui si accetta un incarico e che il praticante, per definizione, deve comunque concretizzare la propria autonomia professionale redigendo anche atti processuali (per la quale, quindi, si passa inevitabilmente dalla responsabilizzazione di quest’ultima figura).

All’esito di questa ricostruzione, la Corte ha rigettato il ricorso e condannato parte ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.

A cura di Andrea Goretti