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giurisprudenza

Sospensione dall’esercizio dell’attività professionale per l’Abogado che viola plurime norme deontologiche (C.N.F., Sent., 28 Novembre 2023, n. 273)

Il giudizio portato al vaglio del Consiglio Nazionale Forense prende le mosse da un giudizio disciplinare promosso dal Consiglio Distrettuale di Disciplina del Foro di Roma promosso nei confronti di una Abogado.

L’Abogado era stata sottoposta a plurimi procedimenti disciplinari, tutti riuniti, all’esito dei quali il C.D.D. aveva dichiarato il non luogo a procedere per alcuni di essi, aveva dichiarato l’intervenuta prescrizione per altri e, infine, aveva ritenuto la sussistenza di violazioni deontologiche relativamente alle seguenti condotte:

– aver trattenuto somme appartenenti al cliente;

– aver omesso di rilasciare il documento fiscale per ogni pagamento ricevuto

– aver predisposto, sottoscritto e notificato un atto di revoca del mandato senza la procura dell’interessato;

– aver comunicato ad un Collega, contrariamente al vero, di aver ricevuto un incarico difensivo per due distinti giudizi, senza poi mai costituirsi nelle procedure e presenziare alle udienze;

– aver utilizzato il titolo di Avvocato, seppur nella forma abbreviata “Avv.”, in luogo di quella di Abogado;

– non aver ottemperato al disposto di una sentenza che la condannava a pagare una somma in favore della controparte processuale;

– aver omesso di pagare i creditori della propria assistita sebbene avesse riscosso la somma da quest’ultima

– aver trattenuto indebitamente una somma ricevuta dalla cliente;

– non aver svolto alcuna attività di intermediazione in relazione ad una compravendita immobiliare nonostante avesse ricevuto mandato ed una somma da parte di un cliente;

– aver comunicato falsamente ad un cliente di aver raggiunto accordi con il Notaio per la predisposizione del rogito;

– aver subito un decreto ingiuntivo di pagamento senza ottemperare allo stesso;

– non aver fornito riscontro alle informazioni richieste da altri Colleghi sullo stato dei mandati fino ad allora espletati e non aver provveduto alla restituzione della documentazione in proprio possesso.

Il C.D.D. tenuto conto della serialità e pluralità delle condotte contestate nonché della gravità dei comportamenti, applicava, ritenendo sussistenti i presupposti di cui all’art. 22 n.2 lett. c) CDF, la sanzione massima corrispondente alla sospensione per anni 3 dall’esercizio dell’attività professionale.

Investito del merito della decisione il C.N.F., questi anzitutto premetteva che, in termini generali, l’analisi delle risultanze istruttorie svolta dal C.D.D. di Roma apparisse molto minuziosa, analitica e rispettosa dei principi ermeneutici in materia di valutazione della prova, tanto da determinare anche la caducazione di molte incolpazioni, che proprio all’esito di un incisivo lucido scrutinio sulla coerenza e pregnanza delle risultanze istruttorie, erano state ritenute non pienamente dimostrate.

Le affermazioni di responsabilità disciplinare operate dal C.D.D., quindi, erano il frutto di una puntuale e mai apodittica valutazione dei documenti e delle risultanze testimoniali; ciò fa sì che le motivazioni addotte per affermare la sussistenza delle violazioni disciplinari contestate non potessero che venir condivise dal Consiglio, in quanto ritenute logiche corrette e congruenti.

Tuttavia, con riferimento alla sanzione applicata dal C.D.D., il C.N.F. ha ritenuto di condividere in parte la censura in ordine alla eccessività della stessa.

Ad avviso del Consiglio, la valutazione di gravità dei fatti operata dal Consiglio Distrettuale è stata senza altro corretta come lo sono le considerazioni che evidenziano il grave vulnus che le condotte specifiche, plurime e seriali, hanno arrecato anche alla funzione sociale dell’avvocato ed alla sacralità del vincolo fiduciario col cliente.

Condivisibile è anche l’affermazione che il comportamento complessivo dell’incolpata non indica elementi che possano portare a discostarsi dal valutare i fatti come gravi; al pari risulta assolutamente corretto, sotto il profilo giuridico, lo sbocco sanzionatorio individuato come astrattamente comminabile in applicazione dell’ art. 22 comma 2 lett. c del CDF.

Nondimeno il Consiglio ha ritenuto che, in concreto, sia più equo e rispondente al contesto, applicare alla ricorrente la sospensione dall’esercizio dell’attività professionale nella misura di anni due piuttosto che in quella massima consentita applicata dal C.D.D.

A cura di Devis Baldi