Un avvocato, in qualità di legale rappresentante di uno Studio Associato, agiva per il recupero dei compensi professionali dovuti da un condominio per l’attività svolta in favore di quest’ultimo da un’associata dello Studio. Il Tribunale, tuttavia, respingeva le domande, ritenendo l’Associazione Professionale non legittimata a chiedere il pagamento dei compensi professionali dovuti per l’attività di un associato.
La Corte di Cassazione ha invece accolto il ricorso straordinario proposto dal legale rappresentante dell’Associazione, e, richiamando diverse sentenze di legittimità, ha ribadito che, ai sensi e per gli effetti dell’art. 36 c.c., gli statuti degli studi professionali associati ben possono attribuire all’Ente (che ha la capacità di porsi come autonomo centro d’imputazione di rapporti giuridici) la legittimazione a stipulare contratti e ad acquisire la titolarità di rapporti, poi delegati ai singoli aderenti e da essi personalmente curati (ex multis Cass. n. 2332/2022 e 22955/2022). In tal senso, peraltro, non occorre un’espressa previsione statutaria che permetta all’Associazione la stipula di contratti di patrocinio, essendo possibile fare riferimento a specifiche clausole statutarie dalle quali si desuma che i soci sono obbligati a svolgere qualsiasi attività professionale «in nome e per conto dell’Associazione», che gli stessi sono solidalmente e personalmente responsabili «delle obbligazioni contratte dall’Associazione» e che le competenze dell’Associazione sono direttamente fatturate dalla stessa a proprio nome: tali clausole, a differenza di quanto sostenuto dal Tribunale (che le riteneva non opponibili ai terzi), devono essere considerate e valutate dal giudice che debba verificare la legittimazione passiva dell’associazione professionale.
A cura di Leonardo Cammunci