Direttore Responsabile:

Susanna Della Felice

Coordinatore di Redazione:

Lapo Mariani

giurisprudenza

Sull’efficacia di giudicato della sentenza penale di assoluzione nel giudizio disciplinare

Con la sentenza in commento la Corte di Cassazione esamina nuovamente la questione dell’efficacia della sentenza penale nel procedimento disciplinare, confermando l’inversione di tendenza degli ultimi anni (Cass. 4893/2006), che ha sovvertito il principio della piena autonomia del giudizio disciplinare rispetto a quello penale, a seguito della modifica dell’art. 653 c.p.p..
Come è noto, con la riforma dell’art. 653 c.p.p. operata dalla L. 97/2001, l’efficacia di giudicato nel giudizio disciplinare della sentenza penale di assoluzione, fino ad allora limitata ai casi di accertamento “che il fatto non sussiste” o che “l’imputato no lo ha commesso”, è stata estesa all’ipotesi di assoluzione perché “il fatto non costituisce illecito penale”.
Pertanto, secondo la più recente ottica giurisprudenziale, nel caso di addebito disciplinare per i medesimi fatti contestati in sede penale, si rende “necessaria” – e non più meramente “opportuna”, come in antecedenza alla riforma – la sospensione del procedimento disciplinare ai sensi dell’art. 295 c.p.c., atteso che gli esiti di quest’ultimo possono dipendere dalla definizione del procedimento penale.
Conseguentemente, tale “pregiudizialità necessaria”, che opera anche nella fase amministrativa del procedimento, impedisce la decorrenza del termine prescrizionale.
Ciò comunque non esclude che la sospensione possa non essere disposta laddove “l’organo disciplinare provveda autonomamente in ordine a fatti e comportamenti costituenti oggetto dell’incolpazione che prescindono e si distinguono da quelli che sono oggetto dell’imputazione penale” (Cass. SS.UU. 17441/2008).