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giurisprudenza

Sulla mancata asseverazione della conformità della copia analogica della sentenza all’originale notificata a mezzo PEC (Cass., Sez. III, 4 luglio 2023, n. 18840)

La Suprema Corte, con sentenza n. 18840/2023, ha delineato alcuni specifici aspetti dell’improcedibilità del ricorso per Cassazione nel caso della mancata asseverazione della conformità della copia analogica della sentenza all’originale notificata a mezzo PEC.

La fattispecie in sintesi: il ricorrente in Cassazione impugnava la sentenza della Corte d’Appello – con cui veniva accertata la non debenza, in capo agli appellanti notificanti (in totale 28), delle somme richieste dall’odierno ricorrente, vittorioso in primo grado, in forza di alcune fatture emesse nei loro confronti – affidandosi a quattro motivi; resistono con controricorso soltanto 23 dei 28 enti intimati.

Per ciò che qui interessa, la Corte ha preliminarmente rilevato che il ricorrente depositava copia analogica della sentenza impugnata corredata della relazione di notificazione ma priva dell’attestazione di conformità ex art. 9, comma 1 bis e 1 ter L. 53/1994.

In relazione al tema dell’improcedibilità ex art. 369, comma 2 n. 2 c.p.c. in caso di deposito in cancelleria, nel termine di 20 giorni dall’ultima notifica, di copia analogica della sentenza notificata a mezzo pec priva dell’attestazione di conformità all’originale telematico, sono noti i principi di cui a Cass. SS. UU. 25 marzo 2023, n. 8312:

1) il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall’ultima notifica, di copia analogica della decisione impugnata predisposta in originale telematico e notificata a mezzo PEC priva di attestazione di conformità del difensore L. n. 53 del 1994, ex art. 9, commi 1-bis e 1-ter, oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non comporta l’applicazione della sanzione dell’improcedibilità ove l’unico controricorrente o uno dei controricorrenti (anche in caso di tardiva costituzione) depositi copia analogica della decisione stessa ritualmente autenticata ovvero non abbia disconosciuto la conformità della copia informale all’originale notificatogli D.Lgs. n. 82 del 2005, ex art. 23, comma 2. Invece, per evitare di incorrere nella dichiarazione di improcedibilità, il ricorrente ha l’onere di depositare l’asseverazione di conformità all’originale della copia analogica sino all’udienza di discussione o all’adunanza in camera di consiglio nell’ipotesi in cui l’unico destinatario della notificazione del ricorso rimanga soltanto intimato (oppure tali rimangano alcuni o anche uno solo tra i molteplici destinatari della notifica del ricorso) oppure comunque il/i controricorrente/i disconosca/no la conformità all’originale della copia analogica non autenticata della decisione tempestivamente depositata;

2) i medesimi principi si applicano all’ipotesi di tempestivo deposito della copia della relata della notificazione telematica della decisione impugnata – e del corrispondente messaggio PEC con annesse ricevute – senza attestazione di conformità del difensore L. n. 53 del 1994, ex art. 9, commi 1-bis e 1-ter, oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa”.

La Corte, quindi, si sofferma sul “fondamento razionale” di tali principi e cioè al mancato disconoscimento da parte del/dei controricorrente/i della conformità della copia informale all’originale notificatogli (ciò vuoi per la considerazione  dell’impossibilità per la Corte di effettuare la verifica diretta sull’originale nativo digitale, vuoi e di contro per la oggettiva possibilità del destinatario del ricorso di potere operare o meno, il disconoscimento dell’atto processuale nativo digitale rispetto alla copia analogica depositata senza asseverazione o con asseverazione priva di sottoscrizione autografa dal ricorrente, in quanto in possesso proprio del suo originale)

Rileva, pertanto, l’attribuzione all’art. 23, comma 2 C.A.D. un “ruolo di norma-cardine”, idonea ad operare anche per verifiche, come quelle relative alla procedibilità del ricorso (connotate da implicazioni pubblicistiche non disponibili per le parti).

Per contro, il rilievo ostativo all’operatività di tale principio sta proprio dell’ipotesi in cui:

– il ricorso sia diretto nei confronti di più intimati;

– solo alcuni di essi depositino controricorso senza disconoscere la conformità della copia analogica;

– altri, o anche uno solo di essi, rimangano invece tali (intimati che non si costituiscono).

E l’arresto de quo giustifica ciò nel principio, di portata più generale e superiore che ne costituisce premessa logica (quello cioè i cui effetti sono in tal senso già fissati dall’art. 23, comma 2, CAD) secondo cui “il detto comportamento concludente ex lege”  “impegna solo la parte che lo pone in essere“.

La Corte, tenendo presente quanto sopra, ha evidenziato le peculiarità del caso di specie (per quel che qui rileva):

  1. La sentenza è stata notificata al ricorrente a mezzo pec da 28 appellanti, a ministero dello stesso difensore;
  2. 23 dei 28, a ministero dello stesso difensore, hanno proposto controricorso senza disconoscere la conformità all’originale notificato.

In ragione della particolarità della fattispecie, per come qui riportata, la Corte ha dichiarato la procedibilità del ricorso, prendendo spunto dai predetti insegnamenti delle Sezioni Unite, sopra riepilogati.

A tal fine, rilievo assorbente lo ha rivestito la posizione del difensore che nel giudizio di appello aveva svolto attività difensiva nei confronti di tutti gli enti, notificando poi la sentenza resa all’odierno ricorrente.

Egli era infatti, l’unico in grado di verificare la conformità all’originale notificato del provvedimento impugnato, per cui il comportamento concludente del medesimo, cioè depositare il controricorso senza disconoscere la conformità (all’originale notificato) della sentenza depositata dal ricorrente ma priva dell’attestazione di conformità, ha spiegato effetti anche nei confronti degli enti intimati che non hanno svolto alcuna difesa senza, quindi, obbligare il ricorrente (a pena di improcedibilità) al deposito della attestazione di conformità: con ciò, quindi, rendendo procedibile il ricorso anche nei loro confronti.

In diversa ipotesi, laddove questi presupposti non si dovessero verificare (ad esempio, perché gli intimati non erano compresi, in grado di appello nel ministero del difensore dei controricorrenti), trattandosi di cause scindibili, l’improcedibilità del ricorso potrebbe essere comunque dichiarata nei confronti degli intimati rimasti tali e non anche nei confronti dei controricorrenti che non hanno disconosciuto la conformità della copia analogica.

All’esito di tutte queste argomentazioni, la Suprema Corte ha enunciato i seguenti principi:

– il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall’ultima notifica del ricorso per cassazione, di copia analogica della sentenza impugnata con la relazione di notificazione effettuata nei confronti della parte ricorrente dagli appellanti a mezzo p.e.c. ma non corredata dalla attestazione di conformità ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 9, commi 1-bis e 1-ter, non comporta l’applicazione della sanzione dell’improcedibilità per nessuno degli intimati quand’anche alcuni di questi siano rimasti tali, ove: a) ad essere intimati siano gli appellanti che nel giudizio a quo erano unitariamente difesi dal medesimo avvocato e questi abbia, in nome e per conto degli stessi, provveduto in unico contesto alla notifica della sentenza a mezzo p.e.c.; b) il controricorso, in rappresentanza di alcuni di detti intimati, sia stato depositato per ministero del medesimo avvocato. In tal caso, infatti, il soggetto processuale cui riferire la verifica del comportamento concludente previsto dal D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 23, comma 2, (mancato disconoscimento della conformità all’originale della copia analogica della notifica a mezzo p.e.c. e dei suoi allegati) è l’avvocato che in appello difendeva tutti gli intimati e che aveva provveduto alla notifica della sentenza;

– al di fuori del caso suindicato, ove sia proposto ricorso per cassazione nei confronti di una pluralità di intimati – che si rapportino con la parte ricorrente ciascuno all’interno di altrettante cause scindibili, sebbene unitariamente trattate e decise nel giudizio a quo, e dei quali però solo alcuni depositino controricorso, gli altri rimanendo tali – il deposito entro venti giorni dall’ultima notifica di copia analogica della sentenza impugnata con la relazione di notificazione non corredata dalla attestazione di conformità ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 9, commi 1-bis e 1-ter, non comporta l’applicazione della sanzione dell’improcedibilità per colui (o coloro) tra i controricorrenti (anche in caso di tardiva costituzione) che non abbia (o non abbiano) disconosciuto la conformità della copia informale all’originale notificato D.Lgs. n. 82 del 2005, ex art. 23, comma 2, dovendo invece dichiararsi improcedibile il ricorso per coloro che siano rimasti intimati o che, depositando controricorso, abbiano disconosciuto la conformità all’originale della copia depositata.

A cura di Andrea Goretti